Riccardo Lo Parrino*, Mario Landi**, Roberto Leonetti***, Romina Lattanzi*
Specialisti in Neuropsichiatria Infantile
*Dirigenti Medici UFC Salute Mentale Infanzia e Adolescenza di Firenze
**Direttore UFS Salute Mentale dell’Infanzia e Adolescenza di Firenze
***Direttore UFC Salute Mentale dell’Infanzia e Adolescenza di Frenze
Azienda USL Toscana Centro
Abstract: Le maggiori conoscenze, in questi ultimi anni, dei processi neurobiologici alla base dei disturbi neuropsichiatrici in età evolutiva, studi necessari e quanto mai importanti per la messa a punto di trattamenti efficaci e quanto più possibile individualizzati, non possono oscurare la complessità multifattoriale dell’origine della sofferenza psichica. L’utilizzo degli psicofarmaci in adolescenza, necessario e spesso irrinunciabile, costituisce pertanto solo una parte di un intervento multimodale integrato in cui la persona sofferente, per citare il filosofo Sergio Moravia, “varcando la soglia di un luogo preparato ad accoglierlo, porta con sé tutta la sua esistenza: quella materiale e quella invisibile, quella bisognosa di aiuto e quella sana.“
parole chiave: psicofarmaci, adolescenza, uso off-label, terapia multimodale, disturbi mentali
Dobbiamo chiederci se gli psicofarmaci siano davvero “The Bitterest Pills”, per citare il titolo di un libro edito da Palgrave Macmillan nel 2013, che fa, per esattezza, specifico riferimento ai farmaci antipsicotici e il cui sottotitolo è infatti “The Troubling Story of Antipsychotic Drugs“? L’autrice, Joanna Moncrieff, Professor of Critical and Social Psychiatry dell’University College di Londra, è membro fondatore e co-presidente del Critical Psychiatry Network, un gruppo di psichiatri di estrazione internazionale che costituisce una voce critica a tutto tondo del “modello psicofarmacologico” dei disturbi mentali, dalle modalità di utilizzo della psicofarmacoterapia, a quelle di studio e sperimentazione delle molecole, alla loro commercializzazione, per arrivare, appunto, al modello d’intervento centrato sui sintomi bersaglio. Non ci sembra davvero il caso di assumere, in tema di psicofarmacoterapia, posizioni estreme né toni enfatici. Certo è, tuttavia, che gli psicofarmaci sono strumenti di lavoro preziosi ma da maneggiare con estrema cautela e accortezza. A maggior ragione in età evolutiva, anche -ma non è questo il solo motivo- perché per questa fascia di popolazione studi significativi, randomizzati controllati, sono davvero poco numerosi, seppure un certo miglioramento si sia finalmente iniziato a registrare in questi ultimi anni.
Quando uno psichiatra dell’età evolutiva pensa alla prescrizione di uno psicofarmaco in adolescenza deve dunque tenere bene a mente alcuni elementi di base età-specifici:
- il primo è che la prescrizione riguarda appunto un soggetto “immaturo” (sull’ “immaturità” dell’adolescente ha scritto pagine preziose Donald W. Winnicott), in fase di crescita, il cui cervello è ancora impegnato nel processo di sviluppo: la maturazione della corteccia prefrontale (nota come “frontalization“), responsabile delle funzioni esecutive (analisi cognitiva, attenzione focalizzata, strategie di previsione e pianificazione, moderazione dei comportamenti in situazioni sociali) si completa infatti abbondantemente dopo i 20 anni. Tralasciando la questione ben nota, ma irrisolta, che la quasi totalità delle molecole utilizzate in età evolutiva deriva da studi e sperimentazioni primariamente pensate per ed effettuate su soggetti adulti, l'”immaturità” dell’adolescente-persona (nella sua interezza biologica-psicologica-relazionale-sociale) comporta che l’espressione della sofferenza psichica presenti molto spesso contorni poco delineati. E’ per questo imprescindibile, nel processo decisionale che sta alla base della prescrizione di una molecola psicoattiva, partire sempre da una “riflessione diagnostica” che consenta di tracciare una “mappa multidimensionale” (come insegna Maria Grazia Martinetti) in cui si tiene conto della sofferenza soggettiva, e delle sue diverse forme di espressione, ma anche delle spinte evolutive adolescenziali (condotte oppositive e trasgressive, talvolta pericolose, radicalità dei sentimenti, rigidità dei giudizi, narcisismo ora onnipotente ora vulnerabile) che possono mimare tale sofferenza o con essa mescolarsi. Questa riflessione è necessaria innanzi tutto per scongiurare il rischio di rendere patologico ciò che patologico non è e quindi di soffocare e mortificare il potenziale evolutivo delle giovani e giovanissime vite che si presentano nei nostri ambulatori il più delle volte “portate” (come gli stessi ragazzi/e dicono) da adulti allarmati da processi trasformativi che rendono irriconoscibili i bambini di un tempo. Tempo che non si arresta e procede, inesorabile, unidirezionalmente.
- altro elemento riguarda la necessità di conoscere in maniera approfondita le caratteristiche del processo di biotrasformazione del farmaco, che in adolescenza avviene a livello epatico in maniera più efficiente di quanto non accada negli adulti. Se ciò richiede spesso di utilizzare dosaggi maggiori e somministrazioni più frequenti, d’altra parte è dimostrata una maggiore sensibilità dei soggetti molto giovani alle reazioni avverse, per cui è sempre buona prassi iniziare il trattamento con dosaggi bassi da aumentare lentamente sino al raggiungimento degli effetti desiderati e, quando possibile, come avviene ad esempio per il litio e l’acido valproico, aiutarsi anche attraverso il Therapeutic Drug Monitoring. Per altro i farmaci utilizzati in età evolutiva, anche in adolescenza, sono in buona parte off-label; questo rende particolarmente complessa la prescrizione a causa delle limitazioni legate alla diagnosi, all’età e alla durata del trattamento. L’utilizzo di una politerapiaè giustificato solo in situazioni particolari (per es: i sintomi sono poco modificati da un solo farmaco, effetti sinergici di potenziamento di più farmaci, comorbilità, sovrapposizione di farmaci durante i cambi di terapia…)
- ulteriore elemento, la prescrizione del farmaco non può prescindere da un’alleanza di lavoro con l’adolescente (e quindi da una dimensione relazionale) ma anche con i genitori, che sono per lo più i portatori della domanda di aiuto. Tale alleanza richiede, con il procedere del percorso di cura, una continua rinegoziazione degli obiettivi di lavoro. Può darsi quindi che la proposta del trattamento farmacologico costituiscail punto di arrivo di un percorso talvolta, nella nostra esperienza, anche prolungato; la sensazione, in questi casi, è di trovarsi, nel processo di cura (che è quasi costantemente multiprofessionale), a una sorta di turning point in termini di consapevolezza, anche molto dolorosa, ma auspicabilmente feconda, da parte dell’adolescente, della propria condizione di sofferenza.
Il setting del nostro servizio dedicato ad adolescenti con psicopatologia grave a rischio o in fase di scompenso (Servizio Territoriale per lo Scompenso Psichico in Adolescenza) prevede pertanto già in fase di assessment una presa in carico sia dell’adolescente che dei genitori (secondo il modello della Tecnica Bifocale di Philippe Jeammet), che si sviluppa in maniera simultanea alla messa in atto degli interventi urgenti necessari (farmacoterapia, interventi educativi domiciliari intensivi, lavoro psicologico con la coppia parentale). L’elemento valutativo tiene presenti non solo le condizioni psichiche del soggetto, ma anche il contesto socio-familiare (funzione parentale riflessiva, comprensione/negazione delle problematiche del figlio, esercizio di una efficace tutela, organizzazione del quotidiano).
Nello specifico, per quanto riguarda l’adolescente, quando viene proposta una terapia farmacologica, è sempre necessario valutare come questi si rappresenta il funzionamento della propria mente, il suo malessere psicopatologico e l’intervento farmacologico. L’esperienza clinica ci mostra come il farmaco possa rappresentare per i giovani in difficoltà un segno di attenzione e cura da parte del medico, ma anche, all’opposto, un modo per allontanarsi dalla loro sofferenza, se percepito come strumento di passaggio dal livello relazionale a quello di “agito terapeutico”. Il medico, da parte sua, deve guardarsi dal rischio che il farmaco diventi strumento distanziante il dolore mentale dell’altro.
Particolare attenzione va rivolta a un adolescente che chiede il farmaco. Questo può significare buona consapevolezza rispetto alle sue difficoltà, sollecitando un aiuto dall’esterno, ma anche un tentativo di ridurre tutta la portata dell’intervento al solo uso del farmaco (Gabriele Masi). Ciò può precludere l’accesso a livelli più profondi di indagine ed intervento psicologico, traducendosi di fatto in una fuga dai processi di mentalizzazione. Può anche trattarsi, più raramente, di una richiesta per “sballo” (è presente da tempo un mercato illegale di psicofarmaci ben conosciuto da un’ampia frangia del mondo adolescenziale anche attraverso i social network).
Numerosi possono essere i motivi per cui l’adolescente rifiuta il farmaco: l’indicazione di un farmaco può accentuare il vissuto di fragilità psichica e/o di inadeguatezza dell’adolescente ed indurlo ad atteggiamenti neganti e/o oppositivi potenti del tipo “posso farcela da solo”; oppure l’intervento farmacologico può essere sentito comeintrusivo e nelle forme cliniche più gravi, dove siano presenti vissuti paranoidei, il farmaco può assumere il significato persecutorio di sostanza esterna che penetra nel corpo per controllare la mente, o per cambiarla. In molte situazioni, anche meno gravi, è presente, il timore di un controllo esterno su emozioni, sentimenti e flusso di pensiero.
Per quanto riguarda i genitori si tratta di valutare principalmente il vissuto che ciascuno di loro ha della condizione di sofferenza del figlio/a ed il livello di consapevolezza/tendenza a negare il problema;la storia familiare: presenza nella cerchia dei parenti di soggetti affetti da un disturbo mentale: proiezioni – timori – fantasie minacciose; l’esperienza personale con gli psicofarmaci e ilrapporto, in generale, con il mondo della psichiatria (vissuti di inaiutabilità o francamente persecutori – sfiducia/ timore degli interventi sulla mente).
Sicurezza nella prescrizione dei farmaci
Abbiamo già sottolineato la necessità di una forte attenzione all’insorgenza di possibili effetti indesiderati a causa della maggiore sensibilità dei soggetti in età evolutiva rispetto agli adulti. In adolescenza va sempre scrupolosamente considerato il significato che alcuni di essi (sono esempi significativi la galattorrea, l’incremento ponderale, la comparsa di acne) possono assumere mentre è in corso un riassetto identitario, sotto la spinta della maturazione sessuale, in cui il corpo gioca un ruolo di primo piano. Un intero capitolo potrebbe poi essere aperto rispetto all’uso degli antidepressivi per alcuni dei quali esistono avvisi di black box da parte di agenzie regolatorie dei farmaci (es paroxetina).
Il problema della sicurezza riguarda anche la somministrazione/assunzione in ambiente familiare: può esserci una forte difficoltà dei genitori a gestire la terapia: “non riesco a darglielo” … “lo prende ma quando vuole lui” … “sì lo prende regolarmente” (ma alle analisi ematiche risulta sottodosato) che generano o accentuano scontri intrafamiliari. Anche per questo è necessario favorire la piena partecipazione dell’adolescente alla gestione della propria terapia, fornendo informazioni dettagliate sui sintomi bersaglio, sui tempi e modi della somministrazione, sugli effetti indesiderati, sui tempi di controllo, e creare un clima di fiducia con i genitori, aiutandoli ad affrontare le loro ansie e paure e a sostenere realisticamente le loro aspettative circa i risultati della cura.
In sintesi, nella pratica clinica la psicofarmacoterapia va dunque riservata a ragazzi/e in cui il disturbo interferisce, in maniera consistente, nel percorso di crescita a livello emotivo, comportamentale, sociale. Essa costituisce, in ogni caso, soltanto una parte di un programma di trattamento multimodale integrato (psicoterapia, interventi educativi e psicosociali), che si occupa dell’adolescente, e della sua famiglia, in maniera unitaria e complessiva, riconoscendone i bisogni di base in ogni loro dimensione e promuovendo la ripresa di processi di sviluppo bloccati, attraverso la costruzione di percorsi assistenziali personalizzati, in grado di valorizzare l’interezza della persona in crescita e le risorse familiari e sociali (scuola, gruppo dei coetanei) presenti.