Giorgio Banchieri, Segretario Nazionale ASIQUAS (Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale) e Docente DiSSE (Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche), Università “Sapienza”, Roma.
Gli oceani e i mari si surriscaldano …
A inizio agosto 2023 il sistema di rilevamento satellitare “Copernicus” ha rilevato che la temperatura media superficiale dell’acqua nel Pianeta è stata la più calda di sempre, ovvero, ha raggiunto i gradi 20,96°, un valore che supera di pochissimo il precedente primato del 2016 (era 20,95°).
Questo nuovo record è stato rilevato ad agosto e non è affatto una buona notizia.
Di solito le temperature superficiali più alte delle acque – a livello globale – sono registrate intorno al mese di marzo.
I motivi di queste temperature estreme potrebbero essere infatti molto probabilmente la combinazione di due fattori, da una parte le conseguenze del fenomeno naturale di “El Niño” che contribuisce a un forte riscaldamento delle acque nell’Oceano Pacifico, un po’ come accaduto anche nel 2016, e dall’altra gli effetti sempre più allarmanti della crisi del clima che porta ad ondate di calore molto impattanti.
Lo stesso Mediterraneo a fine luglio di quest’anno ha registrato la temperatura superficiale più alta di sempre, 28,71°. Ancora più elevati i dati rilevati intorno alle Florida Keys, tra Oceano Atlantico e Golfo del Messico, di poco superiori a 38,44°.
Inoltre la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) in USA ha di recente rilevato come anche i valori registrati nel Nord Atlantico siano estremamente elevati e sono stati raggiunti ben prima dei mesi in cui le acque sono notoriamente più calde.
Le stesse temperature elevate del mare sono quelle che hanno in parte contribuito a rafforzare le ondate di calore sperimentate a luglio e a agosto scorsi. Con i mari più bollenti l’atmosfera è sempre più carica di energia che poi si trasforma in eventi meteo più intensi e frequenti, caratteristici della crisi del clima.
Rapporto tra temperature marine ed eventi climatici estremi
In questo contesto l’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, promosso dall’ONU, documenta come le ondate di caldo marino sono raddoppiate per frequenza e intensità dagli anni Ottanta in poi e questa dinamica ha determinato conseguenze rilevanti per la salute degli ecosistemi marini, per l’economia e per le vite di milioni di persone, conseguenze che potrebbero risultare sempre più devastanti.
Un esempio arriva proprio dalle Florida Keys. A causa delle temperature elevate, sta accelerando lo sbiancamento e la morte dei coralli. I coralli però sono animali che permettono quasi il 25% della vita e della biodiversità nei mari. Senza di loro c’è banalmente meno pesce e l’economia degli umani può risentirne in maniera diretta.
Che fare? Sul fenomeno naturale di “El Niño”, adattamento a parte, poco possiamo fare, mentre sul riscaldamento globale potremmo ancora agire in maniera efficace in termini di attivazione di politiche attive di mitigazione.
Come scrive la Dr.ssa Samantha Burgess di “Copernicus”, “più bruciamo combustibili fossili, più calore in eccesso verrà assorbito dagli oceani, il che significa più tempo ci vorrà per stabilizzarli e riportarli dove erano. Dunque dobbiamo smettere di bruciare”.
Quando gli oceani si surriscaldano il loro effetto di regolazione del clima terrestre viene compromesso e la funzione di assorbimento di CO2 risulta meno efficace, determinando un aumento della quantità di questo gas serra nell’atmosfera.
Allo stesso tempo acque più calde agevolano lo scioglimento dei ghiacci, così come l’innalzamento del livello del mare, aumentando, a seguire, le possibilità di uragani, cicloni e tempeste. Conseguentemente più le acque risultano bollenti, più viene sconvolta l’intera catena alimentare per i pesci e i mammiferi marini, sino a conseguenze sugli stock ittici che pagheremo anche sulle nostre tavole.
A livello globale secondo il Dr. Matt Frost del Plymouth Marine Lab del Regno Unito “… stiamo sottoponendo gli oceani a uno stress maggiore di quanto abbiamo mai fatto in qualsiasi momento della storia“, tra “inquinamento, pesca e crisi del clima“.
Oltretutto le ondate di caldo marino si stanno verificando in luoghi sempre “più insoliti, dove non ce le aspettavamo” ricorda la collega Burgess, parlando del Regno Unito, dove le temperature erano anche di 5 gradi superiori alla media secondo l’Agenzia Spaziale Europea.
Visto e considerato che l’effetto potente di “El Niño” non si è palesato compiutamente, ci si interroga se e quando è possibile che gran parte del calore immagazzinato nelle profondità oceaniche arriverà in superficie.
Convivere con “El Niño” e con“La Niña”
In un recente articolo titolato “El Niño” e la salute in un’era di cambiamenti climatici senza precedenti” di Andy Haines e Holly CY Lam, pubblicato il 16 agosto 2023 sulla rivista “The Lancet”, gli autori affermano che
“Il ciclo di “El Niño” può avere conseguenze sulla salute in molti Paesi, rendendo necessarie misure preventive per ridurne gli impatti negativi. Il ciclo, che si verifica ogni 2-7 anni, rappresenta la più grande fluttuazione climatica del pianeta e la fase “El Niño” è caratterizzata da una risalita di acqua calda nel Pacifico tropicale orientale. Al contrario, la fase “La Niña” è associata al raffreddamento. Il ciclo viene spesso definito Oscillazione Meridionale di “El Niño” (ENSO) perché le variazioni di temperatura sono accompagnate da oscillazioni della pressione atmosferica tra il Pacifico orientale e occidentale”.
Nel giugno 2023 la temperatura superficiale del mare nella parte interessata dell’Oceano Pacifico ha raggiunto 0,8°C al di sopra della media a lungo termine, ben al di sopra della soglia di 0,5°C per dichiarare un evento di “El Niño”. Le previsioni suggeriscono che è probabile che nei prossimi mesi si verifichi un aumento dell’intensità di “El Niño”, raggiungendo il picco durante l’inverno nell’emisfero settentrionale.
Queste dinamiche climatiche sono a breve e medio termine irreversibili, forse a lungo termine può esserci una ragionevole speranza di inversione climatica con politiche attive di mitigazione. Quindi dobbiamo adattarci alle nuove condizioni di sopravvivenza che come specie ci siamo di fatto autoimposti.
L’impatto del clima sui sistemi sanitari e sulla salute.
Successivamente su “The New England Journal of Medicine” è apparso l’articolo “Ridurre l’impatto climatico dell’assistenza sanitaria: mission critical o credito extra?” di Alexander S. Rabin, MD, ed Elizabeth G. Pinsky, pubblicato il 17 agosto 2023 [N Engl J Med 2023; 389:583-585, DOI: 10.1056/NEJMp2305709].
Gli autori partono nelle loro considerazioni dalla notizia che la Joint Commission aveva relegato i suoi standard di sostenibilità ospedaliera, originariamente proposti come “obbligatori”, alla categoria “opzionali”.
A fronte delle successive resistenze interne al settore quello che era iniziato come uno sforzo ambizioso per mitigare il contributo del settore sanitario al cambiamento climatico è svanito di fronte alle obiezioni degli stakeholders del settore e all’apparente timidezza della stessa Joint Commission.
Successivamente la Joint Commission ha declassato gli standard ambientali allo status di “credito extra“, allontanandosi dalla sua missione dichiarata di “… rendere l’assistenza sanitaria più sana per tutti“.
Per altro nel 2022, la stessa Joint Commission aveva delineato tre priorità strategiche innovative – “equità sanitaria, sostenibilità ambientale e forza lavoro” – per affrontare le carenze del sistema sanitario che erano state messe a nudo dalla pandemia di SARS-COV-2.
La pandemia, il cui impatto è stato più pesante sulle popolazioni emarginate e sui loro fornitori di assistenza, è stata un test per il tipo di sconvolgimenti climatici diffusi che molto probabilmente dovremo affrontare come sistemi sanitari nei prossimi anni.
Jonathan Perlin, Presidente e Amministratore Delegato della Joint Commission, ha affermato in un’intervista a NEJM Catalyst, “… la sostenibilità, la decarbonizzazione in particolare, è fondamentale per l’agenda sanitaria, soprattutto perché il cambiamento climatico sta avendo un effetto diretto e iniquo sulla salute e benessere delle persone a livello globale”.
I contributi dei sistemi sanitari al cambiamento climatico sono rilevanti e significativi nel generare altre forme di degrado ambientale. L’assistenza sanitaria è responsabile dell’8,5% delle emissioni totali di gas serra negli Stati Uniti nonché delle emissioni di altri inquinanti. Percentuali simili sono registrabili in quasi tutti i Paesi OECD. In tutto il mondo, le emissioni dei sistemi sanitari alimentano ulteriori danni alla salute a causa del cambiamento climatico.
L’inquinamento del solo sistema sanitario USA provoca la perdita stimata di 388.000 anni di vita aggiustati per disabilità all’anno, un carico di malattia simile a quello creato da errori medici.
Per affrontare questo conflitto tra operazioni sanitarie e risultati salutari, nel marzo 2023, sono stati ridefiniti in USA i requisiti proposti per ridurre al minimo le emissioni di gas serra e i rifiuti degli ospedali.
Gli ospedali dovrebbero avere un supervisore dei piani di riduzione delle emissioni e dovrebbero misurare le emissioni da tre o più delle seguenti fonti: consumo di energia, energia acquistata, uso di gas anestetici, uso di inalatori predosati pressurizzati, consumo di benzina dei veicoli della flotta, e lo smaltimento e l’incenerimento dei rifiuti solidi.
Conclusioni
Sappiamo che gli ospedali e il personale sono stati sottoposti a uno stress straordinario dall’inizio della pandemia di Covid-19, a causa della carenza di personale, delle pressioni finanziarie e dell’aumento degli oneri amministrativi. Comunque molti operatori sanitari ritengono che affrontare il cambiamento climatico sia essenziale per la loro missione.
In un sondaggio tra gli operatori sanitari, sempre in USA, più di tre quarti degli intervistati ha affermato che il cambiamento climatico causerebbe danni ai propri pazienti e una percentuale simile ha cercato indicazioni su come rendere sostenibile il proprio posto di lavoro.
Allineando le metriche di qualità in sanità con i valori della gestione ambientale e dell’equità sanitaria, si potrebbe migliorare il clima aziendale e ripristinare la fiducia nel processo di accreditamento degli ospedali.
Gli operatori sanitari stanno focalizzando il tema della crisi climatica, che molte survey svolte sempre negli USA hanno definito la “più grande minaccia per la salute pubblica“.
Migliorare la qualità dell’aria, ridurre il degrado ambientale e ridurre al minimo i danni del cambiamento climatico non sono da considerare “crediti extra“.
Sono possibili e necessarie azioni di mitigazione sviluppate dagli stessi sistemi sanitari, sia in USA che nella UE.
In particolare in USA si sono sviluppate iniziative da parte di stakeholders quali il Department of Veterans Affairs che ha presentato un piano d’azione per il clima e, in conformità con l’ordine esecutivo 14057 (Catalyzing Clean Energy Industries and Jobs through Federal Sustainability), piano che si pone l’obiettivo di raggiungere il 100% di acquisizione di veicoli a emissioni zero entro il 2035.
Anche il Mass General Brigham ha ridotto l’intensità del consumo energetico nelle sue strutture del 20% dal 2008, il che ha consentito di risparmiare decine di milioni di dollari nella spesa per le utenze.
Per altro lo stesso Inflation Reduction Act del 2022 offre ulteriori opportunità di risparmio sui costi attraverso vari incentivi fiscali, sovvenzioni e altri programmi di finanziamento a sostegno della diffusione dell’energia pulita. Nella UE interventi simili sono previsti nel Programma UEnewgeneration Plan e analoghi erano inizialmente previsti anche nel PNRR.
La seguente tabella, tratta dal documento presentato recentemente dalla Conferenza Stato-Regioni-PPAA al Governo da il senso dei tagli previsti dal Governo stesso su cui le Regioni hanno a dir poco espresso forti riserve:
Dei 15 miliardi di tagli previsti circa 14 sono tutti su progettualità impattanti direttamente e indirettamente su ambiente, territorio e sociale.
Sappiamo che la coperta è stretta e le risorse mancano … ma tagliare finanziamenti già assegnati per una incapacità di governance delle attività di messa a terra degli stessi è sicuramente disarmante e poco lungimirante.
Non realizzare questi progetti quanti costi per impatti negativi delle modifiche climatiche genereranno?
Che impatto avranno sulla salute delle popolazioni interessate?
Quali diseguaglianze di salute esaspereranno?
Su tutto questo si giocherà la credibilità o meno della politica … a meno che l’opinione pubblica non si abituerà alla nuova anormalità climatica … tutto è possibile … speriamo di no.