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26 Gennaio 2023

La sfida dello psicologo nelle organizzazioni

Quando si pensa alla psicologia molte volte il pensiero corre all’immagine del divano tanto caro a Sigmund Freud e alla psicoterapia intesa come diade analista-paziente; oggi però c’è una psicologia che sta assumendo sempre più un ruolo importante, sul lettino non c’è più disteso il paziente ma l’organizzazione lavorativa intesa come soggetto non sempre “malato” ma indubbiamente bisognoso di strumenti efficaci per affrontare le sfide che i cambiamenti della società ed un mondo sempre in rapido movimento richiedono. Premessa fondamentale è che oggi l’unita di misura dell’organizzazione lavorativa di qualsiasi settore produttivo o terziario, ivi compresa la sanità, non è più il singolo ma il gruppo e con questo si confronta la psicologia delle organizzazioni.

Tale concetto non è così recente. Dal 1924 al 1927 Elton Mayo studiò il comportamento delle operaie nello stabilimento di Hawthorne della Western Electric. La ricerca considerò l’influenza delle condizioni ambientali sulla produttività, arrivando a individuare l’importanza dei bisogni sociali e del gruppo di lavoro. Si scoprì che abbassando la luce le operaie erano costrette a lavorare più vicine. Una volta superato il timore per gli osservatori e instaurato con loro un rapporto di fiducia, la vicinanza ha determinato la creazione di una “sotto-organizzazione informale” – basata sulle relazioni – che ha aumentato la soddisfazione delle operaie e, conseguentemente, la loro produttività. Al principio le operaie erano timide, preoccupate e forse sospettose circa le intenzioni della Compagnia; in seguito, il loro atteggiamento fu caratterizzato da fiducia e franchezza. Prima di qualsiasi cambiamento di programma si consultava il gruppo. Si ascoltavano e discutevano i loro commenti; talvolta le loro obiezioni erano accettate e si annullava una proposta che era stata avanzata. Nel gruppo si era sviluppato un sentimento di partecipazione alle decisioni cruciali ed esso veniva a formare una sorta di “cellula sociale”.

A mio parere questo studio mette in evidenza l’obiettivo dello psicologo delle organizzazioni moderno: comprendere le dinamiche di gruppo e migliorare i processi organizzativi per fornire un maggior benessere sul luogo di lavoro; solo così l’organizzazione ne potrà beneficiare nel raggiungimento dei propri scopi.

Purtroppo, pur conoscendo l’importanza di questo settore della psicologia sin dagli anni ‘20 ancora poco è stato fatto e molto c’è ancora da fare. La Commissione Europea nel 2010 ha pubblicato il report “Health and safety at work in Europe (1999–2007): a statistical portrait”, dal quale risulta che tra i lavoratori che presentano problemi di salute legati all’attività lavorativa, il 14% riferisce che stress, depressione e ansia sono i principali sintomi. Inoltre, secondo le cifre fornite dall’Agenzia per la sicurezza e salute del lavoro, le vittime dello stress da lavoro in Europa sarebbero circa 40 milioni e i costi per la collettività sono altissimi in termini di giorni lavorativi perduti ogni anno (il 50-60%), pari a circa 20 miliardi di euro. Proprio dai risultati delle ricerche sul campo si è giunti all’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 dove gli stati membri si sono impegnati a tutelare i lavoratori dal rischio dello stress da lavoro e l’Italia lo ha recepito inserendo nel D.Lg. 81/08 (cd: “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”) dove diviene obbligo del datore di lavoro valutare, tra i vari rischi, anche quelli psicosociali e in particolare lo stress lavoro correlato.

Se il legislatore ha messo in evidenza la reale necessità di potenziare il benessere organizzativo riconoscendo che i processi organizzativi e i luoghi di lavoro possono essere potenzialmente dannosi anche per la psicofisiologia, purtroppo molto deve ancora mutare nella cultura delle aziende italiane poiché ben poche ancora sono quelle “illuminate” che adottano programmi e interventi in tale senso. Non fanno eccezione quelle sanitarie dove lo stress lavorativo prende una forma ancora più particolare nel “burn-out” degli operatori. In generale gli sportelli di ascolto o gli interventi di consulenza e supporto per lo stress sono ancora poco diffusi e ancora meno con iniziative volte alla prevenzione dal disagio lavorativo.

I prossimi anni saranno cruciali per determinare questo cambio culturale dove agli psicologi, in collaborazione con i medici competenti, spetterà la sfida di favorirlo con l’ausilio di strategie preventive e di supporto sempre più efficaci.

Per bibliografia: alessio.bonari@gmail.com

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La sfida dello psicologo nelle organizzazioni

26 Gennaio 2023

Quando si pensa alla psicologia molte volte il pensiero corre all’immagine del divano tanto caro a Sigmund Freud e alla psicoterapia intesa come diade analista-paziente; oggi però c’è una psicologia che sta assumendo sempre più un ruolo importante, sul lettino non c’è più disteso il paziente ma l’organizzazione lavorativa intesa come soggetto non sempre “malato” ma indubbiamente bisognoso di strumenti efficaci per affrontare le sfide che i cambiamenti della società ed un mondo sempre in rapido movimento richiedono. Premessa fondamentale è che oggi l’unita di misura dell’organizzazione lavorativa di qualsiasi settore produttivo o terziario, ivi compresa la sanità, non è più il singolo ma il gruppo e con questo si confronta la psicologia delle organizzazioni.

Tale concetto non è così recente. Dal 1924 al 1927 Elton Mayo studiò il comportamento delle operaie nello stabilimento di Hawthorne della Western Electric. La ricerca considerò l’influenza delle condizioni ambientali sulla produttività, arrivando a individuare l’importanza dei bisogni sociali e del gruppo di lavoro. Si scoprì che abbassando la luce le operaie erano costrette a lavorare più vicine. Una volta superato il timore per gli osservatori e instaurato con loro un rapporto di fiducia, la vicinanza ha determinato la creazione di una “sotto-organizzazione informale” – basata sulle relazioni – che ha aumentato la soddisfazione delle operaie e, conseguentemente, la loro produttività. Al principio le operaie erano timide, preoccupate e forse sospettose circa le intenzioni della Compagnia; in seguito, il loro atteggiamento fu caratterizzato da fiducia e franchezza. Prima di qualsiasi cambiamento di programma si consultava il gruppo. Si ascoltavano e discutevano i loro commenti; talvolta le loro obiezioni erano accettate e si annullava una proposta che era stata avanzata. Nel gruppo si era sviluppato un sentimento di partecipazione alle decisioni cruciali ed esso veniva a formare una sorta di “cellula sociale".

A mio parere questo studio mette in evidenza l’obiettivo dello psicologo delle organizzazioni moderno: comprendere le dinamiche di gruppo e migliorare i processi organizzativi per fornire un maggior benessere sul luogo di lavoro; solo così l’organizzazione ne potrà beneficiare nel raggiungimento dei propri scopi.

Purtroppo, pur conoscendo l’importanza di questo settore della psicologia sin dagli anni ‘20 ancora poco è stato fatto e molto c’è ancora da fare. La Commissione Europea nel 2010 ha pubblicato il report “Health and safety at work in Europe (1999–2007): a statistical portrait”, dal quale risulta che tra i lavoratori che presentano problemi di salute legati all’attività lavorativa, il 14% riferisce che stress, depressione e ansia sono i principali sintomi. Inoltre, secondo le cifre fornite dall'Agenzia per la sicurezza e salute del lavoro, le vittime dello stress da lavoro in Europa sarebbero circa 40 milioni e i costi per la collettività sono altissimi in termini di giorni lavorativi perduti ogni anno (il 50-60%), pari a circa 20 miliardi di euro. Proprio dai risultati delle ricerche sul campo si è giunti all’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 dove gli stati membri si sono impegnati a tutelare i lavoratori dal rischio dello stress da lavoro e l’Italia lo ha recepito inserendo nel D.Lg. 81/08 (cd: “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”) dove diviene obbligo del datore di lavoro valutare, tra i vari rischi, anche quelli psicosociali e in particolare lo stress lavoro correlato.

Se il legislatore ha messo in evidenza la reale necessità di potenziare il benessere organizzativo riconoscendo che i processi organizzativi e i luoghi di lavoro possono essere potenzialmente dannosi anche per la psicofisiologia, purtroppo molto deve ancora mutare nella cultura delle aziende italiane poiché ben poche ancora sono quelle “illuminate” che adottano programmi e interventi in tale senso. Non fanno eccezione quelle sanitarie dove lo stress lavorativo prende una forma ancora più particolare nel “burn-out” degli operatori. In generale gli sportelli di ascolto o gli interventi di consulenza e supporto per lo stress sono ancora poco diffusi e ancora meno con iniziative volte alla prevenzione dal disagio lavorativo.

I prossimi anni saranno cruciali per determinare questo cambio culturale dove agli psicologi, in collaborazione con i medici competenti, spetterà la sfida di favorirlo con l’ausilio di strategie preventive e di supporto sempre più efficaci.

Per bibliografia: alessio.bonari@gmail.com

Di Redazione Toscana Medica

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di
Alessio Bonari

Psicologo Psicoterapeuta
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