Roberto Tarquini, Direttore SOC Medicina Interna 1, Ospedale San Giuseppe, Empoli.
Le porfirie acute sono un gruppo di malattie del metabolismo dovute a difetti ereditati o acquisiti a carico di uno degli otto enzimi coinvolti nella via biosintetica dell’eme. Sono caratterizzate da iperproduzione, accumulo e alterata escrezione dei prodotti intermedi, che risultano tossici per numerosi organi. A ciascun tipo di porfiria, corrisponde uno specifico pattern di accumulo di porfirine e precursori delle porfirine che determina le manifestazioni cliniche caratteristiche.
Sono malattie di difficile diagnosi, dalla sintomatologia polimorfa e sfuggente; i pazienti si rivolgono a numerosi specialisti senza trovare la soluzione al loro problema. Il tempo medio dall’inizio dei sintomi alla diagnosi è calcolato in 10-15 anni. L’incidenza è verosimilmente sottostimata; la prevalenza attesa nella maggior parte dei Paesi europei è di 5.9 per 100.000 abitanti. Sono descritti pattern di ereditarietà autosomica dominante, autosomica recessiva o complessa, caratterizzate però da bassa penetranza: la maggioranza (stimata in circa 80%) degli individui portatori di mutazioni per una porfiria autosomica dominante resta asintomatica tutta la vita.
La maggioranza dei casi si manifesta in età adulta con picco tra i 15 e i 35 anni e sebbene la prevalenza delle mutazioni genetiche sia sovrapponibile tra i due sessi, la forma clinica si manifesta più frequentemente nelle donne. Non sempre è dimostrabile una franca familiarità. Queste malattie sono presenti nella storia e nella letteratura, si pensa che Giorgio V (La pazzia di re Giorgio) potesse essere affetto da Porfiria Epatica Acuta, sicuramente lo era van Gogh e anche la figlia di Isabel Allende, alla quale la scrittrice ha dedicato un libro, Paula.
Sono descritte quattro forme di Porfiria acuta di cui la Porfiria Acuta Intermittente (AIP) rappresenta quella più frequente, nonché il modello clinico, diagnostico e terapeutico tra le forme acute. È una malattia autosomica dominante dovuta alla mutazione della porfobilinogeno (PBG) deaminasi che provoca accumulo di PBG e acido delta-aminolevulinico (ALA). La seconda forma più frequente è la Porfiria Variegata (VP), sempre a trasmissione autosomica dominante ed è dovuta alla mutazione della protoporfinogeno ossidasi (PPOX) che provoca accumulo di PBG e coproporfirina II. Forme più rare sono: la Coproporfiria Ereditaria (HCP), malattia autosomica dominante dovuta alla mutazione della coproporfinogeno ossidasi (CPO) con accumulo di PBG e coproporfirina II; la Porfiria da deficit di ALAD (ADP), forma autosomica recessiva, molto rara, caratterizzato all’acido ALA deidratasi, con conseguente accumulo di ALA, mentre i livelli di PBG sono bassi; ne sono state descritte poche decine di casi nel mondo.
Clinicamente, le porfirie acute si manifestano con attacchi acuti neuro-viscerali episodici, provocati da fattori esogeni o endogeni precipitanti (“triggers”) quali:
- assunzione di farmaci (anestetici, barbiturici, antibiotici, terapia ormonale);
- diete ipoglucidiche, digiuno prolungato;
- infezioni virali o batteriche;
- ciclo mestruale;
- assunzione di alcool o di droghe (amfetamine, cocaina e derivati);
- stress mentale o fisico.
La classica triade sintomatologica è composta da: dolore addominale, neuropatia periferica, disturbi del sistema nervoso centrale.
Il dolore addominale è molto intenso, crampiforme, mal localizzato, irradiato alla radice delle cosce, mima un quadro di addome acuto, dissociato però dai segni di peritonismo classici. Questo comporta frequentemente multipli accessi al pronto soccorso, dove spesso si fa ricorso a metodiche di imaging pesante, senza però ottenere nessun riscontro patologico. Non è infrequente che questi pazienti finiscano, inutilmente, in sala operatoria.
Spesso sono presenti disfunzioni neurovegetative quali disturbi urinari (sia ritenzione che incontinenza), tachicardia, crisi ipertensive, sudorazione profusa. Talvolta le urine di questi pazienti, se esposte alla luce, diventano color marsala, indirizzando verso la possibile diagnosi di porfiria.
La neuropatia periferica sensitivo-motoria, che si caratterizza per insorgenza acuta di debolezza agli arti inferiori con successivo interessamento del tronco, dei nervi cranici e degli arti superiori, può diventare in alcuni casi molto pericolosa mimando la Sindrome di Guillain-Barré anche per gravità, tanto che il paziente può finire in Terapia Intensiva, con rischio per la vita. Si possono avere anche manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale quali delirium, disturbi dell’umore, insonnia, allucinazioni, inappropriata secrezione di ADH (SIADH), crisi comiziali, encefalopatia posteriore reversibile (PRES).
La durata degli attacchi è generalmente di ore o giorni, sebbene se non trattati efficacemente, possono perdurare per settimane. Un tempo si pensava che tra gli attacchi questi pazienti non avessero grandi disturbi, mentre un recente studio prospettico osservazionale (EXPLORE), ha dimostrato che oltre il 60% dei pazienti manifesta sintomi della malattia nei periodi tra gli attacchi e il 45% quasi quotidianamente.
Per la diagnosi delle forme acute (vedi anche algoritmo 1), è sufficiente rilevare livelli elevati PBG, anche se viene sempre effettuato anche il dosaggio di ALA. Non essendo disponibili in tutti i presidi il pattern completo di analisi, può essere utilizzato un test rapido su spot delle urine.
Il test è falsamente negativo nelle forme di ADP, in cui è registrato solo l’incremento dell’ALA (per fortuna rarissime).
Una volta posto il sospetto, devono essere comunque eseguiti gli esami diagnostici di secondo livello per la fenotipizzazione.
A Empoli, presso la Medicina Interna 1 è stato implementato il Centro regionale di riferimento, per la diagnosi, il trattamento e il follow up delle porfirie acute, dove vengono raccolti i campioni urinari che poi vengono analizzati nel laboratorio di riferimento di San Salvi, diretto dal Dott. Roberto Baronti. Purtroppo al momento è possibile solo il dosaggio dei metaboliti urinari, ma questo è sufficiente per la diagnostica delle forme acute.
Sebbene generalmente i livelli dei metaboliti siero-urinari si normalizzi durante le fasi intercritiche, talvolta tale escrezione può permanere; in alcuni casi si osserva anche in pazienti asintomatici, definiti elevati escretori asintomatici.
La terapia dell’attacco acuto prevede un trattamento specifico con infusione di glucosata al 10% ed arginato di eme, in quanto entrambi agiscono da stabilizzatori e da inibitori dell’ALA-deaminasi. Inoltre deve essere effettuato il trattamento delle complicanze con terapia del dolore, delle convulsioni, delle alterazioni elettrolitiche, delle manifestazioni cardiovascolari, dell’insufficienza respiratoria, che possono richiedere il ricovero ospedaliero.
È infine fondamentale l’eliminazione dei triggers: ipoglicemia, stress, farmaci, infezioni.
Il trattamento è effettuato dopo che è stata confermata la diagnosi con almeno il riscontro dell’incremento dei metaboliti urinari, in particolare modo il PBG nella AIP. In condizioni però di fortissimo sospetto clinico e se presente grave compromissione clinica, anche se il dosaggio dei metaboliti non è ancora pervenuto, il trattamento dovrà essere iniziato in attesa della conferma diagnostica proveniente dalle indagini urinarie.
Spontaneamente o con la terapia sopra descritta l’attacco acuto può recedere, ma la malattia ha un andamento recidivante, per cui la ri-esposizione ai triggers può peggiorare nuovamente il quadro.
La prevenzione delle recidive è da sempre una grande sfida per chi segue questi pazienti ed è rappresentata quasi esclusivamente dall’eliminazione dei triggers. I risultati della somministrazione settimanale-bisettimanale di arginato di eme ha mostrato risultati discreti, ma a scapito di effetti collaterali pesanti, in particolare lo sviluppo di emosiderosi.
Da qualche tempo è disponibile un farmaco come trattamento specifico per la AIP, il Givosiran. Si tratta di un farmaco fortemente innovativo, che fa parte del gruppo delle “piccole molecole”, un RNA interference, che blocca l’espressione di RNAm, in questo caso di quello che codifica ALAS1, riducendo quindi l’attività dell’enzima e l’accumulo dei prodotti intermedi tossici, in particolare ALA e PBG.
Gli enti regolatori hanno approvato il farmaco per la prevenzione delle recidive nel paziente affetto da AIP e che ha dimostrato attacchi multipli (almeno 4 per anno); nello studio che ha portato alla registrazione (il trial ENVISION 3), il farmaco ha dimostrato una drastica riduzione degli eventi, un sensibile miglioramento della qualità della vita dei pazienti e una riduzione delle dosi di emina durante l’anno. Ci sono comunque esperienze anche nelle altre forme di porfiria acuta dove si è comunque dimostrato efficace e sicuro. Il farmaco va somministrato per via sottocutanea alla dose di 2,5mg/kg 1 volta al mese. Tra i rari effetti collaterali si possono osservare reazioni locali al sito di somministrazione; talvolta, dopo alcuni mesi di utilizzo si può avere danno epatico e/o renale evidenziato da incrementi delle transaminasi e della creatininemia; spesso questo danno è di scarso significato ed è sufficiente sottoporre il paziente a monitoraggio stretto di transaminasi e filtrato glomerulare senza interruzione del trattamento, altre volte il danno può rivelarsi più grave e richiedere l’interruzione, perlomeno temporanea, della terapia, anche se è difficile differenziare i danni della terapia da quelli da progressione di malattia.
Un’analisi dei pazienti ancora presenti dopo 24 mesi nello studio ENVISION ha mostrato che il trattamento continuo con Givosiran si è mantenuto efficace, riducendo gli attacchi annuali da 10.1 a 1.4, riducendo i livelli di ALA e porfobilinogeno, mantenendo il miglioramento della qualità di vita nonché la riduzione del consumo di annuale di emina. Sembra associarsi anche un beneficio nella gestione del dolore cronico in quanto riduce direttamente i metaboliti, soprattutto se iniziato durante le prime fasi di malattia.
Le porfirie acute restano quindi un problema irrisolto per la medicina e per la Toscana in particolare, dove ogni anno le diagnosi fatte sono molto inferiori a quelle attese (come in gran parte del mondo, tranne nelle regioni in cui è presente un centro di riferimento dove le diagnosi sono significativamente maggiori).
Per questo, con il supporto e l’ausilio della Rete Regionale delle Malattie Rare, presso il Presidio Ospedaliero di Empoli, è stato implementato il Centro di riferimento toscano per la diagnostica, la terapia e il follow-up di questa malattia rara ma fortemente invalidante nelle persone affette; di seguito i riferimenti: Il sito http://malattierare.toscana.it, la mail e il telefono del centro per comunicare e prendere appuntamenti (porfirie@uslcentro.toscana.it, tel: 0571706943-6843. Il Centro è situato all’interno del Day-Service dell’Ospedale San Giuseppe di Empoli.
Questi pazienti non devono e non possono essere lasciati soli, spesso costretti alla migrazione sanitaria verso altre Regioni. La disponibilità del Givosiran, farmaco che si è rivelato efficace e sicuro ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per questi malati, che hanno adesso un farmaco specifico, a fianco di quelli sintomatici, ancora utilizzati nelle forme lievi e che rappresentavano fino adesso l’unica risorsa. Un grande aiuto ai malati può derivare dalle associazioni di malati stessi; il nostro Centro collabora con l’associazione di malati Vivi Porfiria, con sede a Milano, https://www.viviporfiria.it/, molto attivo non solo sul sito stesso ma anche sui social, dove i malati o chi ha un sospetto, ma non ancora una diagnosi, può trovare informazioni sulla gestione della malattia e sui Centri cui rivolgersi in base alla propria residenza.
roberto.tarquini@uslcentro.toscana.it
L’autore Roberto Tarquini, dichiara di aver ricevuto i seguenti finanziamenti o di avere i seguenti contratti in corso, personali o istituzionali, con soggetti pubblici o privati i cui prodotti o servizi sono citati nella pubblicazione: Alnylam Pharmaceutical Inc.