Riccardo Lo Parrino, Dirigente Medico Neuropsichiatria Infantile UFC Salute Mentale dell’Infanzia e Adolescenza di Firenze
Mario Landi, Direttore UFS Salute Mentale dell’Infanzia e Adolescenza di Firenze
Roberto Leonetti, Direttore UFC Salute Mentale dell’Infanzia e Adolescenza di Firenze
Romina Lattanzi, Dirigente Medico Neuropsichiatria Infantile UFC Salute Mentale dell’Infanzia e Adolescenza di Firenze
Barbara Giambra, Dirigente Psicologo UFC Salute Mentale dell’Infanzia e Adolescenza di Firenze Azienda USL Toscana Centro
La sofferenza psicologica prende forma nella fucina della vita dall’incontro fra natura e cultura e si modella quasi plasticamente, nel corso del tempo, esprimendosi attraverso linguaggi costantemente diversi. Questo avviene anche in adolescenza, età della vita di cui i processi trasformativi sono una intima essenza. Compito degli operatori della salute mentale è sapersi accostare ai nuovi linguaggi della sofferenza dei giovani con orecchio attento, rispetto e mente aperta, per fornire risposte di aiuto rispondenti ai loro bisogni effettivi.
Parole chiave: adolescenza, dissociazione, covid-19, cyberbullismo, autolesionismo
“Diventa ciò che sei, avendolo appreso”
Pindaro – Pitiche (II)
Quando, nel 2011, è stato organizzato il Servizio Territoriale Multiprofessionale (neuropsichiatra infantile, psicologo, educatore professionale, infermiere) dell’Unità Funzionale Complessa di Salute Mentale dell’Infanzia e dell’Adolescenza di Firenze per la presa in carico di adolescenti con disturbo psicopatologico a rischio o in fase di scompenso, lo abbiamo fatto spinti dal pensiero che le peculiarità della mente adolescente e delle espressioni della sofferenza psichica – che ben conosce chi opera con ragazze e ragazzi in questa fase del loro sviluppo – e la complessità clinica dello scompenso acuto in adolescenza necessitino di risposte tempestive e altrettanto specifiche, articolate in un “ambiente” (inteso come spazio, fisico e mentale, quindi anche in termini di risorse professionali) certo e, appunto, specificamente dedicato. Sappiamo bene infatti quanto in salute mentale tempestività e appropriatezza dell’intervento siano in grado di modificare la storia clinica del disturbo riducendo il rischio di cronicizzazione e migliorando le prospettive di vita dei giovani e delle loro famiglie, consentendo la ripresa di processi di sviluppo temporaneamente bloccati.
Gli elementi qualificanti il programma di trattamento inizialmente pensati e messi sempre più a fuoco nel corso del tempo dal nostro gruppo di lavoro sono:
- la rapidità della risposta (percorso preferenziale rispetto ai canali di accesso ordinari)
- l’intensità della cura territoriale, con mantenimento dei riferimenti quotidiani dei giovani pazienti e delle connessioni con ambiti istituzionali non clinici
- la presa in carico personalizzata, multidisciplinare e multidimensionale, sino dalle prime fasi dell’intervento (lavoro di squadra e team leading), con immediato coinvolgimento anche della famiglia (secondo la Tecnica Bifocale di Philippe Jeammet)
- l’utilizzo di strumenti strutturati di assessment
- la flessibilità dei processi
- l’attenzione precoce al mantenimento/recupero del funzionamento sociale – secondo i criteri del social recovery – (lavoro con la scuola, laboratori e gruppi educativi, orientamento alla formazione e al lavoro)
Questo pensiero permane tuttora, a distanza di oltre 12 anni, rafforzato per di più da una notevole esperienza acquisita sul campo a fronte di una richiesta imponente tanto in termini numerici, quanto in termini di gravità e complessitàdelle situazioni di cui giornalmente siamo chiamati ad occuparci.
Da gennaio 2011 a dicembre 2022 il Servizio si è occupato di 1077 ragazzi e ragazze (dagli 11a.7m. ai 17a.11m.) in stato di grave sofferenza psichica spesso ad esordio acuto. Di questi oltre il 95% è stato seguito con presa in carico multi professionale.
Gli adolescenti di ora, come quelli di ogni epoca, esprimono se stessi con i linguaggi che gli sono propri, cioè quelli del loro tempo. L’espressione della sofferenza psicologica non costituisce un’eccezione. Essa parla linguaggi nuovi, certamente, anche se i contenuti rimandano per lo più a tematiche antiche, universali, quelle che attraversano tutto il nostro essere-persone, con tratti peculiari in ogni età nell’intero arco della vita.
In questo senso la posizione del nostro servizio ci ha consentito (e continua a farlo tuttora) un punto di osservazione particolare, rendendoci, come clinici, da molto tempo testimoni diretti -e in profondità- dell’evolvere delle forme attraverso cui il dolore psichico irrompe nelle giovani vite che arrivano nei nostri ambulatori, e le allontana, auspicabilmente in modo temporaneo, dalle traiettorie, da non troppo intraprese, di una crescita piena, ricca di desideri, di passioni, di aspettative, di progetti, di libertà. Libertà che il dolore nega e che gli adolescenti più gravi sentono di avere perso per sempre.
Fra le numerose situazioni in cui sempre più ci imbattiamo ci sono quelle che si snodano attorno alla patologia del narcisismo, a cui la nostra società attuale fa da perfetta cassa di risonanza, o addirittura da matrice germinativa. In adolescenza un sano, anche robusto investimento narcisistico sulle proprie potenzialità, non solo è utile, ma, ancor più, necessario, per trovare una propria soddisfacente collocazione nello scenario che la nuova fase evolutiva comporta. Non è ovviamente di questo che stiamo parlando. Ci riferiamo invece a certe forme di narcisismo onnipotente, glorificazione di sé a discapito dell’altro, narcisismo distruttivo e maligno, prossimo talvolta a quella che potremmo chiamare (forse per deformazione professionale?) “patologia” dell’odio, di cui sono una eloquente, drammatica espressione il bullismo e, soprattutto, il cyberbullismo, che espone a una platea potenzialmente infinita lo spettacolo della mortificazione della vittima. “Patologia” a cui dà il suo contributo, a nostro modo di vedere, l’evaporazione, a vari livelli della nostra società, di una funzione normativa adulta, autorevolmente in grado di porre limiti. Ci sembra che a tale mancanza possano essere collegati anche fenomeni come, per usare una efficace espressione di Luigi Zoja, “l’inselvatichimento dei giovanissimi maschi” che tornano a riunirsi in gruppi predatori alla ricerca di avversari e vittime.
Le vittime avranno necessità di una cura, lunga e tortuosa, contro-traumatica, per riparare le ferite laceranti subite e tornare a guardare alla vita con fiducia e speranza. Anche i giovanissimi aggressori, d’altra parte, non potranno essere lasciati a se stessi, ma sarà necessario per loro un lavoro in cui il mondo della cura, il nostro, sia in grado di accogliere il dolore che molto spesso sta dietro alla violenza, e che -purtroppo non sempre- riuscirà a mostrarsi proprio grazie all’impatto irrinunciabile con il mondo della Giustizia.
Al polo opposto rispetto al narcisismo onnipotente sta il narcisismo fragile, il narcisismo della vergogna (pensiamo ancora al peso della vergogna mediatica, quella amplificata come mai prima di ora, dai social network) che può condurre a una sofferenza depressiva anche profonda e alla ricerca di una totale invisibilità attraverso, talora, un ritiro sociale anche estremo; o, nei casi più gravi, al desiderio di una soppressione del corpo fisico a cui vengono attribuite colpe inemendabili.
Un’attenzione particolare merita il dilagare dell’autolesionismo, che da manifestazione rimasta a lungo circoscritta ad ambiti gravi e specifici della psicopatologia (come i disturbi della personalità e le psicosi) o a contesti di vita molto particolari (come il carcere), è diventato un vero e proprio fenomeno sociale adolescenziale, epidemia dei nostri tempi, che ha visto, per altro, come i disturbi alimentari, una progressiva anticipazione dell’età di comparsa. Filo conduttore è, appunto, l’attacco al corpo, (“quando mi taglio è come se la mia anima si staccasse da me e ci fosse solo il corpo”) che si declina soprattutto, ma non solo, al femminile, perpetrato nel chiuso della propria camera, talora a lungo nascosto (le lesioni sono prodotte in parti non esposte del corpo, come l’interno delle cosce), attentamente preparato con gli attrezzi necessari o, al contrario, esposto e condiviso trionfalmente, attraverso chat a questo dedicate, con una platea di coetanei interessata.
Pensiamo, volendo continuare, a quadri, sempre più frequenti, in cui la fragilità identitaria assume contorni indefiniti, che rendono ardui i nostri sforzi di rintracciare, dentro una sintomatologia proteiforme, criteri nosografici e attribuzioni diagnostiche: la dissociazione, le esperienze senso-percettive “altre” vengono attivamente cercate; tutto può iniziare come un gioco, il Reality Shifting (esploso durante la pandemia da Covid-19 su TikTok), espressione di quella che alcuni chiamano Daydream Culture, ma condurre a una condizione in cui il confine fra reale e immaginario/virtuale sfuma e intrappola in un vicolo cieco di dipendenza e sofferenza da cui è difficile uscire.
C’è poi l’indubbio incremento della violenza intrafamiliare (anch’esso ampiamente segnalato durante la pandemia da COvid-19), nelle sue più varie configurazioni. Vogliamo sottolinearne una che, nella quotidianità del lavoro, ci colpisce sempre molto, anche per l’intensità con cui può manifestarsi: è quella di adolescenti maschi verso madri che hanno dovuto crescerli da sole, in assenza (ancora una volta un vuoto, una mancanza) di una figura paterna, precocemente sottrattasi al proprio impegno genitoriale.
Non possiamo non soffermarci anche se brevemente sulle conseguenze della già citata pandemia da Covid-19 (a cui abbiamo dedicato uno specifico articolo su questa rivista) che, con le sue misure di mitigazione, di cui il lockdown è stata quella estrema, si è abbattuta bruscamente, cogliendo tutti di sorpresa, e con estrema virulenza, sulle nostre vite. Quelle dei giovani e giovanissimi hanno subito amputazioni dolorose e nefaste (una per tutte, la limitazione della socialità), auspicabilmente temporanee, acuendo il malessere di chi già stava male o rendendolo manifesto, rompendo fragili equilibri personali e familiari sino ad allora a fatica mantenuti. E’ così che si è assisto a una esplosione soprattutto di disturbi internalizzanti (depressione, ansia generalizzata, fobia sociale con ritiro, etc).
E poi sono arrivati gli adolescenti ucraini, i figli e le figlie della guerra, che hanno accresciuto il numero di chi, da molti anni, fugge da altre guerre, spesso dimenticate, da povertà e violenza, e ne porta le cicatrici ben evidenti sul corpo e nell’anima. I disturbi post-traumatici affollano i nostri ambulatori come mai prima.
Molto si potrebbe dire sulla complessa commistione fra psicopatologia e consumo di sostanze ma questo richiederebbe una trattazione a parte.
In conclusione, ci preme sottolineare che se è nostro compito accostarsi alla sofferenza di questi giovani con la determinazione che deriva della nostra formazione ed esperienza, non devono mancare le accortezze di chi si avvicina, innanzi tutto per comprenderlo, a qualcosa di inedito e di sconosciuto.
Abbiamo lavorato molto, in questi anni, compresi quelli della pandemia, per tenere il passo con i tempi, nello sforzo di forgiare l’organizzazione del nostro servizio e rispondere al meglio alle diverse forme attraverso cui la sofferenza psichica degli adolescenti si manifesta. Sappiamo che non possiamo fermarci perché le sollecitazioni che ci arrivano da chi necessita del nostro aiuto, sempre nuove, ci chiamano a una plasticità e a una capacità di modellarsi che non tollerano indugi.
Di una cosa siamo certi: nessuna risposta alla sofferenza e al disagio degli adolescenti (e delle loro famiglie), neppure la meglio organizzata, la più professionalmente competente, ha possibilità di successo se non è grado di evitare una rischiosa autoreferenzialità e di collocarsi in maniera decisa in un internet costantemente attivo, costituito da sistemi interconnessi e cooperanti alla costruzione di un percorso di aiuto articolato e multidimensionale. I nodi di questo internet siamo noi, tutti quanti, servizi territoriali e ospedalieri per la salute mentale dell’infanzia-adolescenza e dell’adulto, Ser.D, pediatri e mmg, Pronto Soccorso degli ospedali, servizi sociali, strutture educative residenziali, semiresidenziali, domiciliari, scuola, Forze di Polizia e Autorità Giudiziaria.
L’interruzione di una di queste connessioni, o il malfunzionamento, è una grave falla del sistema che si ripercuote inevitabilmente sull’intero processo di aiuto, quindi sulla vita delle persone che confidano, in un modo o in un altro, in noi.