Maurizio Dal Maso, membro CDN Asiquas – Associazione Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria e Sociale – Roma
Diversi studi recenti ci dicono che il 50% del personale del SSN/SSR cambierebbe lavoro non per soldi o incentivi ma per un ambiente lavorativo migliore. Come mai questo dato molto allarmante? Studi e ricerche sulle organizzazioni hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle con dipendenti soddisfatti e un “clima interno” sereno e partecipativo. La motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e la fiducia delle persone sono tutti elementi che portano a migliorare la salute mentale e fisica dei lavoratori, la soddisfazione degli utenti e, in via finale, ad aumentare la produttività. Quali sono le idee e quindi le azioni che si dovrebbero implementare per raggiungere un livello ottimale di benessere organizzativo nelle strutture sanitarie? Questa condizione è necessaria per migliorare la performance complessiva della organizzazione stessa e si ottiene creando relazioni costruttive fra le persone, promuovendo un clima lavorativo sereno, positivo, equilibrato, non conflittuale, favorendo lo sviluppo di un livello di comunicazione interna efficace e positiva. Si potrebbe sostenere che la promozione del benessere organizzativo, inteso come la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori che operano al suo interno, sia parte integrante della missione di una organizzazione e, quindi, la sua responsabilità gestionale si estenda alla messa in atto di azioni adatte allo scopo da parte di chi di competenza. La promozione del benessere è stata fondamentale per prevenire fenomeni di burnout all’interno delle organizzazioni sanitarie alla luce delle significative correlazioni fra burnout, stress-lavoro correlato e soddisfazione lavorativa. Certamente in ambito scientifico il benessere organizzativo è diventato uno dei principali temi di discussione, in particolare per i contesti sanitari data l’elevata complessità delle dinamiche relazionali considerando la triangolazione tipica di queste organizzazioni fra professionisti, utenti e organizzazione stessa. Alla base di un corretto equilibrio troviamo la comunicazione organizzativa intesa come leva strategica per il miglioramento del clima aziendale e di conseguenza del benessere generale di tutta l’organizzazione. La comunicazione organizzativa non è un fine, ma un mezzo che consente di poter migliorare la vita della organizzazione non solo attraverso il miglioramento delle relazioni interpersonali e interistituzionali, ma anche in quanto parte di una strategia per lo sviluppo e la partecipazione di tutti gli attori rilevanti, interni ed esterni, della organizzazione stessa. Una parte essenziale, che affianca quanto fino a qui detto, è rappresentata dalla motivazione ovvero capire il motivo per cui le persone fanno, o meno, determinate scelte e quali sono gli scopi del loro agire. Tutto ciò parte dalla analisi all’approccio alle risorse umane evoluto nei decenni da quando Abraham Maslow negli anni 50 stabilì, in relazione alla piramide dei bisogni, che l’uomo parte nel soddisfare quelli alla base con progressione gerarchica fino ad arrivare a quelli superiori: bisogni fisiologici, legati alla sopravvivenza immediata; bisogni di sicurezza, fisica ed emotiva relativi alla sopravvivenza a lungo termine; bisogno di appartenenza, ad esempio identificazione con il gruppo o l’azienda, e di un ambiente socievole e gradevole; bisogno di stima e autostima; bisogno di autorealizzazione. Stabilì anche che le persone si muovono lungo questa piramide nei due sensi ovvero che l’equilibrio che regola queste azioni è dinamico e non statico. Tale rappresentazione è negli anni evoluta e cambiata anche in relazione ai mutamenti sociali, culturali e delle organizzazioni stesse al punto che, oggi, si potrebbe considerare quasi rovesciata “la piramide degli anni 50” e, comunque, è ormai assodato che spetta all’organizzazione modificare le proprie strutture formali per soddisfare i bisogni affettivi di appartenenza, stima e realizzazione degli individui. In effetti, anche per questo motivo, da anni nel mondo sanitario si dice che non esistono manager, o meglio leader, adatti per ogni contesto lavorativo ma la loro operatività è definita “situazionale” ovvero che bisogna avere le competenze giuste e il giusto stile di leadership per quella specifica realtà e in quel particolare periodo. La leadership situazionale, nota anche come “Life-cycle theory” è una teoria che sostiene la necessità di adattare i propri comportamenti e il proprio stile di management a una situazione, o a un obiettivo, al fine di andare incontro alle necessità del proprio team e dei suoi membri, con benefici per tutto il gruppo di lavoro e quindi della organizzazione stessa. Il ruolo dell’ambiente di lavoro come determinante della salute e del benessere individuale è stato ampiamente studiato. In particolare, condizioni di lavoro psicosociali avverse come stress lavorativo, squilibrio impegno-ricompensa e precarietà lavorativa, sono state identificate come fattori di rischio per la salute dei lavoratori favorendo patologie muscoloscheletriche, cardiovascolari, alterazioni dello stato di salute mentale e altre forme patologiche. Ancora, un fattore che è cresciuto negli anni come importanza associata al lavoro e alla salute dei dipendenti è l’adattamento tra lavoro e vita privata, al punto che attualmente il termine equilibrio tra lavoro e vita privata è spesso utilizzato nel dibattito pubblico e all’interno dell’Unione Europea, dove la conciliazione tra lavoro e vita privata è diventata una nuova priorità politica. Il concetto di equilibrio tra lavoro e vita privata è descritto come la capacità dell’individuo di soddisfare adeguatamente le esigenze sia della vita lavorativa sia di quella extra-lavorativa. L’equilibrio vita/lavoro può variare in base alle caratteristiche demografiche, socio-economiche ed organizzative correlate al lavoro stesso. Nel contesto sanitario i responsabili medici e quelli delle professioni sanitarie dovrebbero concentrarsi sulla quantificazione e misurazione dell’equilibrio tra lavoro e vita privata e agire coerentemente con azioni correttive considerando che esiste un’eterogeneità nelle definizioni e nei metodi di quantificazione dell’equilibrio tra lavoro e vita privata e quindi i responsabili, i leader, del settore sanitario dovrebbero adattare le misure alle circostanze e agli obiettivi della realtà sanitaria specifica ma anche ai diversi bisogni o esigenze dei collaboratori, incentivando e perseguendo fattori di fidelizzazione dei loro professionisti come la soddisfazione dal lavoro, lo sviluppo di carriera, l’equilibrio lavoro/vita privata o l’impegno organizzativo e tecnologico reso disponibile. Negli ultimi decenni abbiamo assistito, invece, alla crescita della condizione di burnout, in particolare per la componente medica e quella chirurgica in particolare. Il burnout è una sindrome psicologica in risposta a emozioni croniche e fattori di stress interpersonali sul lavoro, caratterizzata da tre componenti: esaurimento psicofisico, cinismo e distacco dal lavoro e inefficienza o mancanza di raggiungimento degli obiettivi attesi. Lo sviluppo del burnout non segue necessariamente un processo lineare e gli individui possono dimostrare caratteristiche coerenti con molte delle fasi contemporaneamente. In breve, c’è una compulsione iniziale a dimostrare sé stessi che porta gli individui a lavorare sodo e a trascurare le proprie esigenze personali. Durante questo processo, gli individui iniziano a rendersi conto che qualcosa non va nella loro vita personale/professionale, ma non riescono a riconoscere il conflitto o individuarne la causa. Mentre continuano a concentrarsi sul loro lavoro, rivedono il loro sistema di valori in modo tale che il lavoro sia di fondamentale importanza a scapito di altre attività esterne e fonte della loro autostima. Diventano intolleranti e cinici nei confronti dei colleghi che non condividono il loro impegno lavorativo e possono diventare socialmente isolati. Ciò può progredire verso ulteriori cambiamenti comportamentali e un senso interno di inutilità. Ciò può infine portare alla depressione e alla sindrome da burnout conclamato così come noi lo conosciamo. I tratti individuali e della personalità che portano al burnout nel mondo sanitario evidenziano anche due paradossi legati alla professione medica, ovvero i comportamenti che si incoraggiano e vengono premiati nella vita lavorativa sono, molto spesso, quelli che hanno maggiori probabilità di provocare il burnout e, a seguire, i tratti della personalità che hanno portato a una vita di successo possono contestualmente essere quelli che più facilmente possono portare ad una condizione di burnout.
Un altro imprescindibile progetto di innovazione, finalizzato alla ricerca del benessere organizzativo nel mondo sanitario da applicare in modo regolare e che integra gli aspetti trattati, dovrà essere quello di motivare, ovvero ri-motivare, i professionisti sanitari partendo da quell’insieme strutturato di esperienze soggettive che spiega l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento finalizzato al raggiungimento di uno specifico scopo. È un fatto soggettivo intrinseco alla persona stessa che si traduce in comportamenti, atteggiamenti, intenzioni e obiettivi di scopo. Ma quali sono i possibili obiettivi? L’attività lavorativa è uno degli elementi, se non quello principale, dello status sociale e della identità personale e gli elementi che connotano un contesto motivante si riferiscono a 4 aree specifiche, ovvero quelle:
- dello sviluppo: crescita professionale, formazione e sistemi di valutazione. I collaboratori vogliono essere formati, valutati e promossi;
- della relazione: comunicazione interna, rapporti interpersonali, clima e benessere organizzativo. I collaboratori vogliono essere stimolati, coinvolti, inseriti in team di progetto per sviluppare innovazione e cambiamenti;
- del ruolo: contenuti tecnici del proprio lavoro e tecnologie disponibili. I collaboratori vogliono essere apprezzati, spronati e creduti;
- della gestione: benefit diversi e livelli di retribuzione. I collaboratori cercano essenzialmente una buona retribuzione.
Appare evidente che solo la quarta area è estrinseca agli individui ed è legata primariamente alla remunerazione e ha una durata in termini di efficacia breve, mentre le altre 3 aree sono intrinseche e toccano le “leve” motivazionali individuali da usare, in una moderna gestione delle risorse umane, per ricercare un maggiore coinvolgimento delle persone finalizzato ad un maggiore impegno e alla esplicitazione massima delle loro potenzialità professionali ed umane, agendo nel medio-lungo periodo. Diversi studi hanno dimostrato negli ultimi anni, la comparsa di fenomeni caratteristici di un persistente “malessere organizzativo” nel mondo delle organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie e, nonostante vari e numerosi tentativi di implementare forme di miglioramento, sono emerse condizioni come il “quiet quitting” e il “quiet firing” a dimostrazione di quanto ancora si debba lavorare nella ricerca di un livello di benessere nelle organizzazioni in generale e quelle sanitarie, in particolare. Il primo fenomeno (abbandono silenzioso) si ha quando si lavora il necessario per non perdere il posto di lavoro, rifiutandosi di fare straordinari, non aderendo a nuovi team di progetto o non assumendosi la responsabilità di azioni/attività che non rientrano strettamente nell’orario di lavoro o nelle mansioni indicate sul contratto. È un fenomeno in crescita negli ultimi anni e sempre più diffuso. L’abbandono silenzioso non riguarderebbe la volontà dei dipendenti di lavorare di meno e/o con minore coinvolgimento, quanto la capacità del management di costruire un rapporto proattivo e coinvolgente, ovvero il fallimento nel conciliare gli obiettivi aziendali con lo specifico benessere individuale e collettivo dei dipendenti. Il quiet firing (licenziamento silenzioso) è una forma subdola di mobbing che mira a indurre il lavoratore alle dimissioni. Cause diverse portano al demansionamento del lavoratore, isolamento, mancanza di feedback, critiche continue e immotivate, mancanza di supporto, assegnazione di compiti impossibili per le sue capacità/competenze, negazione di opportunità di crescita e di sviluppo di carriera. Questo insieme di fattori possono avere gravi conseguenze per il lavoratore, sia a livello professionale (perdita di chance di crescita e di carriera), sia psicologico e di salute.
Una riflessione a parte merita il fenomeno della violenza sugli operatori sanitari che è risultato in crescita negli ultimi anni anche nel nostro Paese ed è un sintomo di malessere esterno ma anche interno alle organizzazioni sanitarie e rappresenta una spia di quanto ancora si debba lavorare per migliorare stabilmente il livello di benessere nelle organizzazioni sanitarie. Ci sono 2 tipi di violenza sul lavoro La fisica si riferisce all’uso della forza fisica contro un’altra persona o più persone che causa una lesione fisica, sessuale o psicologica. La seconda è la violenza psicologica che riguarda le minacce di violenza fisica contro un’altra persona o più persone e può causare un danno fisico, psicologico, morale o sociale. Include il maltrattamento verbale, il comportamento incivile, la mancanza di rispetto, un atteggiamento sprezzante, l’intimidazione, il mobbing, le molestie e le minacce. L’incremento del rischio di aggressioni nelle strutture sanitarie viene interpretato come un rischio endogeno che può essere causato da disfunzioni dell’organizzazione del servizio in risposta alle diverse aspettative dagli utenti. Questo fenomeno richiede comunque un’attenta valutazione del rischio e l’adozione di adeguate misure di prevenzione e di protezione per i lavoratori, oltre che campagne comunicative e revisioni degli assetti legislativi attuali. Appare quindi evidente che le azioni proponibili per migliorare stabilmente il livello di benessere organizzativo, pur partendo da contesti e condizioni diverse, dovranno andare in un’unica direzione ovvero quella di ripensare dalla base molti dei rapporti professionali e delle condizioni di lavoro in essere partendo da quanto di efficace fino ad oggi è stato fatto, avendo la capacità di abbandonare logiche e procedure ormai obsolete, con volontà e coraggio per abbattere il muro sempre presente quando si intraprendono azioni di cambiamento, ovvero la mitica frase “abbiamo sempre fatto cosi” perché nel mondo sanitario la resistenza al cambiamento è un lusso che non potremo più permetterci soprattutto nell’ottica del paziente che avendo bisogni nuovi e diversi si aspetta risposte nuove e diverse, ovvero quelle definite “disruptive” che tendono a sovvertire e cambiare le strutture dei vecchi assetti organizzativi, la forza lavoro, i processi, i prodotti, i servizi e le tecnologie. Ora sorge spontanea la domanda: abbiamo chiare le cause e le possibili azioni correttive di questi fenomeni che spiegano molto, se non tutto, della crisi grave che colpisce i professionisti sanitari da diversi anni ? Quanto tempo dovremo aspettare ancora per vedere stabili azioni correttive implementate in modo coerente e uniforme nel nostro SSN/SSR?