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4 Luglio 2025

Prendersi cura, insieme: una sfida collettiva nella cura della Sclerosi Laterale Amiotrofica

Andrea Vannucci, Direttore sanitario File (Fondazione Italiana di Leniterapia- ETS)

“La qualità della cura non si misura solo negli esiti, ma nella qualità delle relazioni che la rendono possibile” Questa affermazione non è solo un principio guida: è una chiamata all’azione ed è quanto ripetutamente espresso nel corso di un serrato e partecipato convegno: “La Traiettoria di Cura della Persona con Sclerosi Laterale Amiotrofica”, organizzato il 13 giugno scorso a Firenze da AISLA Onlus  (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) insieme e File (Fondazione Italiana di Leniterapia) con il patrocinio e la partecipazione attiva di UNIFI, AOU Careggi e AUSL Toscana Centro.

La cura della SLA, per la complessità clinica, esistenziale e organizzativa che comporta, rappresenta una sfida radicale per l’intero sistema socio-sanitario. Una sfida che nessuna figura professionale può affrontare da sola. Per questo, oggi ci rivolgiamo a tutte le componenti che rendono possibile la cura: medici, infermieri, logopedisti e fisioterapisti, OSS, assistenti sociali, volontari, caregiver, amministratori sanitari e policy maker. Il percorso di cura nella SLA è necessariamente multidisciplinare, ma questo non basta più. Occorre un cambio di paradigma: dobbiamo renderlo davvero transdisciplinare, superando confini rigidi tra saperi, ruoli e responsabilità. Non si tratta di aggiungere competenze, ma di cambiare sguardo. Di riconoscere il team di cura come un sistema vivente, capace di apprendere, trasformarsi e generare significato insieme alla persona malata e alla sua famiglia.

Co-creazione ontologica: ogni incontro genera senso

Ogni contatto con la persona malata e con chi la affianca non è solo un atto clinico, ma un evento relazionale e simbolico. Si co-creano significati, si costruisce insieme il senso della traiettoria di cura. Questo significa accettare che non ci sono solo risposte da fornire, ma domande da abitare insieme. L’incertezza, la trasformazione, il limite fanno parte del processo. Per questo, ogni componente del team – dal medico al volontario, dall’amministratore al caregiver – è chiamato non solo a comprendere, ma a lasciarsi cambiare. È un coinvolgimento che interpella anche l’identità professionale: essere disposti a “mettersi in gioco” è una competenza chiave.

Intelligenza collettiva: la cura come patrimonio distribuito

Nella SLA non c’è un “titolare” unico della cura. L’intelligenza non è concentrata in una figura, ma distribuita nel sistema. Tra professionisti, caregiver, associazioni, tecnologie e strumenti digitali. L’intelligenza collettiva va riconosciuta, coltivata, potenziata.

La documentazione condivisa, le riunioni di équipe, la comunicazione interprofessionale, le piattaforme digitali di scambio non sono solo strumenti operativi: sono infrastrutture cognitive. Servono non a moltiplicare le informazioni, ma a costruire decisioni comuni, a “pensare insieme”. Questo tipo di intelligenza richiede fiducia reciproca, trasparenza, linguaggio comune e capacità di ascolto profondo.

Generatività controllata: non più protocolli lineari, ma scelte proporzionate

Ogni intervento, ogni atto assistenziale, ogni tecnologia impiegata deve generare valore. Ma non un valore qualsiasi: un valore che sia coerente con la fase della malattia, con le priorità espresse dalla persona, con il contesto reale in cui si agisce.

Non è più tempo di protocolli lineari e cumulativi, di check-list rigide e interventi a somma infinita. Serve capacità di adattamento. Serve saper dire quando sì, ma anche quando basta. Anche la tecnologia non deve essere per forza “di più” – deve essere quella “giusta”. Questo implica discernimento clinico, ascolto empatico, dialogo continuo.

Documentazione vivente: tracciare per narrare, non per burocratizzare

La cartella clinica, i piani assistenziali, i verbali delle riunioni non devono essere solo atti formali. Devono diventare narrazioni condivise. Tracce vive di un percorso che si costruisce giorno dopo giorno. Documentare significa anche raccontare: far emergere i significati, non solo le azioni; costruire un linguaggio comune, non solo archiviare dati.

Una documentazione viva alimenta la memoria del sistema, facilita la continuità della cura, promuove trasparenza, riconoscimento reciproco e inclusione del punto di vista della persona malata e della famiglia.

Sanità partecipata, digitale, relazionale: un cambio di mentalità

Questa visione non richiede miracoli o nuove risorse irraggiungibili. Richiede un nuovo sguardo su ciò che già facciamo. E un impegno condiviso per valorizzare le connessioni tra professionisti, tra istituzioni, tra cittadini e tra livelli di cura. Una sanità davvero partecipata mette al centro le relazioni. Una sanità digitale non significa solo informatizzare, ma connettere persone e saperi. Una sanità relazionale riconosce che la tecnica senza umanità è vuota, ma anche che l’umanità senza organizzazione rischia di essere impotente.

Un invito a tutte le componenti della rete

  • Medici: portate la vostra competenza, ma anche la vostra capacità di ascoltare e integrare i saperi altrui.
  • Infermieri: siete ponte tra i luoghi della cura. Custodite la quotidianità, fatevi promotori di alleanze terapeutiche.
  • Fisioterapisti: il vostro lavoro non è solo sul corpo, ma sull’autonomia e la dignità. Ogni gesto tecnico può diventare relazione.
  • Logopedisti: ridate voce, parola, capacità comunicativa. Ogni vostro intervento è un atto di libertà e di relazione, che riapre la possibilità di esprimersi e di essere compresi.
  • OSS: la vostra prossimità è essenziale. Fatevi portavoce della vita quotidiana del paziente, delle sue micro-esigenze spesso invisibili.
  • Assistenti sociali: siete tessitori di legami tra il sanitario e il sociale. Fate emergere i bisogni nascosti, costruite reti.
  • Volontari: siete presenza gratuita e affettiva. La vostra empatia è parte integrante del sistema di cura.
  • Caregiver: siete esperti per esperienza. Il vostro punto di vista è insostituibile. Date valore alla vostra voce.
  • Amministratori: create le condizioni perché questa complessità possa vivere. Favorire la flessibilità organizzativa è già prendersi cura.
  • Policy maker: avete la responsabilità di rendere sostenibile questa visione. Le politiche sanitarie non devono solo contenere costi, ma liberare potenziale.

Conclusione: più consapevolezza, più coraggio, più umanità

Come AISLA, come File, come Azienda USL, come UNIFI e AOU Careggi stiamo già camminando in questa direzione. Lavoriamo ogni giorno per integrare cura clinica, sostegno relazionale, prossimità umana e innovazione organizzativa. Ma possiamo decidere, da oggi, di farlo con maggiore consapevolezza. Con più coraggio. Con più umanità.

La SLA ci sfida. Ma nel rispondere a questa sfida possiamo trasformare non solo il modo in cui curiamo una malattia, ma il modo in cui pensiamo la cura stessa. Non è solo un compito sanitario. È una responsabilità collettiva.

* La mia gratitudine a Barbara Gonnella, presidente della sezione AISLA Onlus di Firenze per aver riletto questo testo e suggerito alcune precisazioni e la mia ammirazione per il suo tenace impegno e  i risultati ottenuti  

andrea.gg.vannucci@icloud.com

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Prendersi cura, insieme: una sfida collettiva nella cura della Sclerosi Laterale Amiotrofica

Andrea Vannucci

4 Luglio 2025

Andrea Vannucci, Direttore sanitario File (Fondazione Italiana di Leniterapia- ETS)

“La qualità della cura non si misura solo negli esiti, ma nella qualità delle relazioni che la rendono possibile” Questa affermazione non è solo un principio guida: è una chiamata all'azione ed è quanto ripetutamente espresso nel corso di un serrato e partecipato convegno: “La Traiettoria di Cura della Persona con Sclerosi Laterale Amiotrofica”, organizzato il 13 giugno scorso a Firenze da AISLA Onlus  (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) insieme e File (Fondazione Italiana di Leniterapia) con il patrocinio e la partecipazione attiva di UNIFI, AOU Careggi e AUSL Toscana Centro.

La cura della SLA, per la complessità clinica, esistenziale e organizzativa che comporta, rappresenta una sfida radicale per l'intero sistema socio-sanitario. Una sfida che nessuna figura professionale può affrontare da sola. Per questo, oggi ci rivolgiamo a tutte le componenti che rendono possibile la cura: medici, infermieri, logopedisti e fisioterapisti, OSS, assistenti sociali, volontari, caregiver, amministratori sanitari e policy maker. Il percorso di cura nella SLA è necessariamente multidisciplinare, ma questo non basta più. Occorre un cambio di paradigma: dobbiamo renderlo davvero transdisciplinare, superando confini rigidi tra saperi, ruoli e responsabilità. Non si tratta di aggiungere competenze, ma di cambiare sguardo. Di riconoscere il team di cura come un sistema vivente, capace di apprendere, trasformarsi e generare significato insieme alla persona malata e alla sua famiglia.

Co-creazione ontologica: ogni incontro genera senso

Ogni contatto con la persona malata e con chi la affianca non è solo un atto clinico, ma un evento relazionale e simbolico. Si co-creano significati, si costruisce insieme il senso della traiettoria di cura. Questo significa accettare che non ci sono solo risposte da fornire, ma domande da abitare insieme. L'incertezza, la trasformazione, il limite fanno parte del processo. Per questo, ogni componente del team – dal medico al volontario, dall'amministratore al caregiver – è chiamato non solo a comprendere, ma a lasciarsi cambiare. È un coinvolgimento che interpella anche l'identità professionale: essere disposti a "mettersi in gioco" è una competenza chiave.

Intelligenza collettiva: la cura come patrimonio distribuito

Nella SLA non c'è un "titolare" unico della cura. L'intelligenza non è concentrata in una figura, ma distribuita nel sistema. Tra professionisti, caregiver, associazioni, tecnologie e strumenti digitali. L'intelligenza collettiva va riconosciuta, coltivata, potenziata.

La documentazione condivisa, le riunioni di équipe, la comunicazione interprofessionale, le piattaforme digitali di scambio non sono solo strumenti operativi: sono infrastrutture cognitive. Servono non a moltiplicare le informazioni, ma a costruire decisioni comuni, a "pensare insieme". Questo tipo di intelligenza richiede fiducia reciproca, trasparenza, linguaggio comune e capacità di ascolto profondo.

Generatività controllata: non più protocolli lineari, ma scelte proporzionate

Ogni intervento, ogni atto assistenziale, ogni tecnologia impiegata deve generare valore. Ma non un valore qualsiasi: un valore che sia coerente con la fase della malattia, con le priorità espresse dalla persona, con il contesto reale in cui si agisce.

Non è più tempo di protocolli lineari e cumulativi, di check-list rigide e interventi a somma infinita. Serve capacità di adattamento. Serve saper dire quando sì, ma anche quando basta. Anche la tecnologia non deve essere per forza "di più" – deve essere quella "giusta". Questo implica discernimento clinico, ascolto empatico, dialogo continuo.

Documentazione vivente: tracciare per narrare, non per burocratizzare

La cartella clinica, i piani assistenziali, i verbali delle riunioni non devono essere solo atti formali. Devono diventare narrazioni condivise. Tracce vive di un percorso che si costruisce giorno dopo giorno. Documentare significa anche raccontare: far emergere i significati, non solo le azioni; costruire un linguaggio comune, non solo archiviare dati.

Una documentazione viva alimenta la memoria del sistema, facilita la continuità della cura, promuove trasparenza, riconoscimento reciproco e inclusione del punto di vista della persona malata e della famiglia.

Sanità partecipata, digitale, relazionale: un cambio di mentalità

Questa visione non richiede miracoli o nuove risorse irraggiungibili. Richiede un nuovo sguardo su ciò che già facciamo. E un impegno condiviso per valorizzare le connessioni tra professionisti, tra istituzioni, tra cittadini e tra livelli di cura. Una sanità davvero partecipata mette al centro le relazioni. Una sanità digitale non significa solo informatizzare, ma connettere persone e saperi. Una sanità relazionale riconosce che la tecnica senza umanità è vuota, ma anche che l'umanità senza organizzazione rischia di essere impotente.

Un invito a tutte le componenti della rete

  • Medici: portate la vostra competenza, ma anche la vostra capacità di ascoltare e integrare i saperi altrui.
  • Infermieri: siete ponte tra i luoghi della cura. Custodite la quotidianità, fatevi promotori di alleanze terapeutiche.
  • Fisioterapisti: il vostro lavoro non è solo sul corpo, ma sull'autonomia e la dignità. Ogni gesto tecnico può diventare relazione.
  • Logopedisti: ridate voce, parola, capacità comunicativa. Ogni vostro intervento è un atto di libertà e di relazione, che riapre la possibilità di esprimersi e di essere compresi.
  • OSS: la vostra prossimità è essenziale. Fatevi portavoce della vita quotidiana del paziente, delle sue micro-esigenze spesso invisibili.
  • Assistenti sociali: siete tessitori di legami tra il sanitario e il sociale. Fate emergere i bisogni nascosti, costruite reti.
  • Volontari: siete presenza gratuita e affettiva. La vostra empatia è parte integrante del sistema di cura.
  • Caregiver: siete esperti per esperienza. Il vostro punto di vista è insostituibile. Date valore alla vostra voce.
  • Amministratori: create le condizioni perché questa complessità possa vivere. Favorire la flessibilità organizzativa è già prendersi cura.
  • Policy maker: avete la responsabilità di rendere sostenibile questa visione. Le politiche sanitarie non devono solo contenere costi, ma liberare potenziale.

Conclusione: più consapevolezza, più coraggio, più umanità

Come AISLA, come File, come Azienda USL, come UNIFI e AOU Careggi stiamo già camminando in questa direzione. Lavoriamo ogni giorno per integrare cura clinica, sostegno relazionale, prossimità umana e innovazione organizzativa. Ma possiamo decidere, da oggi, di farlo con maggiore consapevolezza. Con più coraggio. Con più umanità.

La SLA ci sfida. Ma nel rispondere a questa sfida possiamo trasformare non solo il modo in cui curiamo una malattia, ma il modo in cui pensiamo la cura stessa. Non è solo un compito sanitario. È una responsabilità collettiva.

* La mia gratitudine a Barbara Gonnella, presidente della sezione AISLA Onlus di Firenze per aver riletto questo testo e suggerito alcune precisazioni e la mia ammirazione per il suo tenace impegno e  i risultati ottenuti  

andrea.gg.vannucci@icloud.com

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Publisher: Galli Torrini Srl, Via Pisana, 78 – 50143 Firenze, Italy
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