Lo studio Global Burden of Disease 2023 pubblicato su The Lancet mostra come l’aspettativa di vita mondiale sia tornata ai livelli pre-pandemia (76,3 anni per le donne e 71,5 per gli uomini), ma nei Paesi più svantaggiati dell’Africa subsahariana non supera i 62 anni e i decessi tra i giovani aumentano. In Toscana la speranza di vita raggiunge invece gli 84 anni.
Nel corso degli ultimi decenni l’umanità ha compiuto un salto straordinario in termini di longevità. Secondo i dati del Global Burden of Disease Study 2023, pubblicati su The Lancet, l’aspettativa di vita media nel mondo è oggi di 76,3 anni per le donne e 71,5 per gli uomini: vent’anni in più rispetto a mezzo secolo fa. Un traguardo che riflette i progressi della medicina, dell’igiene, della prevenzione e dell’accesso alle cure di base. Tuttavia, dietro questa apparente conquista universale si nasconde una realtà diseguale e complessa.
Se nei Paesi a reddito alto la vita media supera gli 80 anni, in molte regioni dell’Africa subsahariana non arriva a 62. La distanza tra chi nasce in un contesto sviluppato e chi cresce in uno svantaggiato resta abissale. In altre parole, si vive di più, ma non ovunque, e soprattutto non allo stesso modo. La speranza di vita, che in teoria dovrebbe rappresentare un indicatore globale di progresso, continua a rivelare fratture profonde nel tessuto sanitario e sociale del pianeta.
Guardando alla Toscana, l’ultimo rapporto “Welfare e salute”, coordinato dall’Agenzia Regionale Sanità – che ha analizzato il trend del quinquennio 2019-2024 – evidenzia l’aumento della quota di anni vissuti in buone condizioni fisiche dopo i 65: fra il 2009 e il 2022 la percentuale è salita dal 36% al 46% negli uomini e dal 28 % al 38 % nelle donne, valori tra i più alti d’Italia. Il 98% dei 65-74enni è autonomo nelle attività quotidiane. Numeri, questi, che si affiancano ai dati sulla speranza di vita (84 anni) che supera in media di oltre mezzo anno quella nazionale, collocando la regione al 3° posto in Italia per longevità maschile e al 6° per quella femminile.
Tornando allo sguardo d’insieme, il Global Burden of Disease sottolinea come la mortalità complessiva sia calata del 67% nell’ultimo ventennio, ma questo miglioramento non riguarda uniformemente tutte le fasce d’età: cresce infatti la mortalità tra i giovani, un paradosso in un mondo che si allunga. Le cause sono diverse: abuso di sostanze, incidenti stradali, suicidi, ma anche l’impatto crescente dei disturbi mentali e delle dipendenze nei contesti urbani. È un segnale allarmante, che indica come l’aumento della longevità non coincida automaticamente con un miglioramento della qualità della vita o con una maggiore sicurezza sociale. Le principali cause di morte restano comunque legate alle malattie croniche: cardiopatia ischemica, ictus e diabete continuano a rappresentare la parte più pesante del carico sanitario globale, con un impatto particolarmente forte nelle popolazioni più anziane, ma sempre più diffuso anche in età intermedie.
È qui che si manifesta il nodo centrale dello studio: la sfida non è solo curare, ma garantire che il progresso scientifico arrivi a tutti, riducendo le disparità nell’accesso alle cure, nella prevenzione, nell’educazione sanitaria. Nei Paesi ad alto reddito le terapie avanzate e le tecnologie mediche hanno permesso di allungare e migliorare la vita, mentre altrove la mancanza di infrastrutture, di risorse e di personale sanitario continua a pesare. Il risultato è un mondo in cui si vive più a lungo, ma in modo diseguale: chi nasce in Europa o in Giappone può sperare di raggiungere gli ottant’anni, chi nasce in Mali o in Ciad non arriva ai sessanta. Le disuguaglianze si allargano, e con esse si acuiscono anche i rischi per la stabilità economica e sociale globale. Lo studio invita a una riflessione profonda: non basta misurare il tempo che viviamo, bisogna misurare come lo viviamo. E mentre l’età media si allunga, il vero progresso si misurerà nella capacità di assicurare che ogni anno in più sia anche un anno vissuto in salute, dignità e sicurezza, ovunque nel mondo.