Antonio Panti
C’era una volta il paternalismo che i medici stessi hanno superato non solo nel Codice Deontologico ma nella quotidianità del rapporto col paziente. Viviamo l’epoca della cosiddetta alleanza terapeutica, però molti indizi fanno pensare che la società stia cambiando e si esiga dal medico le prestazioni che fanno comodo in un clima di violenza diffusa che rende meno sereno e tranquillo una professione già così pesante.
La morte tragica e assurda della collega pisana Barbara Capovani, per mano di un folle socialmente pericoloso, non è altro che l’epifenomeno di questo pervasivo disagio sociale che si manifesta con atti violenti che nascono da un eccesso di pretese o dalla malintesa affermazione di diritti inesistenti.
Si ha quasi l’impressione che vi sia come una trasposizione moderna della malattia, considerata per secoli “colpa morale” del paziente, a “colpa” del medico, che non guarisce o che rifiuta di certificare una patologia che non esiste.
Giorni fa ero, in qualità di paziente, al PS di un grande ospedale quando il primario ha dovuto accorrere da un tecnico preso pugni da un utente. Fatti che non fanno più notizia. L’inasprimento delle pene per condotte delittuose contro i professionisti della sanità è senz’altro importante ma non sufficiente. Il problema è di cultura e di civiltà della società intera, di rispetto reciproco e di considerazione per i saperi di cui sono portatori i medici.
Tra i tanti episodi recenti tre mi hanno colpito. Un no Vax ha schiaffeggiato il Presidente dei 5Stelle Conte mentre si accingeva a un incontro elettorale, non qualcuno che avesse semplicemente dubbi sul vaccino, che il medico ha l’obbligo di sfatare, ma un convinto negatore della scienza candidato alle elezioni in quella città. C’è una qualche relazione tra l’antipsichiatria del folle pisano e il complottismo del facinoroso massese?
Conte, inoltre, si è presentato, insieme al Ministro Speranza, ai magistrati di Bergamo per l’ipotesi delittuosa di epidemia colposa nella gestione delle prime fasi della pandemia. Ancora protagonismo dei magistrati? E i social e molti mass media mettono tutto sullo stesso piano come se fosse una gara sportiva e non fosse in gioco la cultura democratica di un paese.
Terzo fatto, l’annuncio del FADOI che la metà dei medici internisti e degli infermieri vorrebbero licenziarsi stufi di questo sistema che crea disagio invece che serenità nel lavoro. Non si può esercitare la medicina in un clima opprimente e spesso ostile, altro che eroi!
Nello stesso tempo immagino che qualche magistrato, incaricato di procedere per il barbaro assassinio della collega pisana, porrà il problema della prevedibilità e quindi della prevenibilità di comportamenti socialmente pericolosi e invierà i relativi avvisi di garanzia che sono anch’essi una forma di violenza che provoca costi in denaro e in serenità.
Tuttavia, per quanto sia importante sul piano scientifico e giuridico la diatriba sulle possibilità previsionali della psichiatria, mi sembra più rilevante per tutta la cittadinanza discutere sulla tragica vicenda della dr.sa Capovani quale epifenomeno di un clima diffuso di malessere e di violenza sociale nonché di eccessive attese nella medicina e, nello stesso tempo, di diffidenza e di sospetto che sfocia nella reazione inconsulta.
Questo è il punto su cui riflettere: occorre migliorare il rapporto tra scienza, diritto e mass media per difendere la professione e il servizio sanitario pubblico, entrambi in crisi.