di Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze
La riforma che ha abolito il test d’ingresso a Medicina, trasformandolo in un cosiddetto “semestre filtro”, rischia di trasformarsi in un gigantesco corto circuito formativo e sociale. A oggi, questa novità non convince nessuno: né le università, né i docenti, tantomeno gli studenti. E soprattutto non convince chi, come noi medici, vede ogni giorno le conseguenze delle politiche formative sul sistema sanitario nazionale.
Ci viene raccontato che il numero chiuso è stato eliminato. Ma non è così. È stato solo rimandato, trasformato in una selezione spostata più avanti, dopo sei mesi di corsi. A decidere chi potrà proseguire e chi dovrà interrompere gli studi sarà una prova nazionale da svolgere tra novembre e dicembre, sulla base del programma affrontato durante il primo semestre. In altre parole, il filtro resta. Ma con due aggravanti: confusione organizzativa e illusione collettiva.
Le università toscane sono già in difficoltà. Gli Atenei non hanno aule sufficienti, docenti disponibili, spazi adeguati per accogliere l’enorme numero di studenti che si iscriveranno per poi essere, nei fatti, esclusi pochi mesi dopo. E intanto, per sei mesi, dovranno attrezzarsi per erogare corsi, registrare lezioni, garantire formazione a decine di migliaia di studenti, molti dei quali non avranno poi modo di continuare. È sostenibile tutto questo?
Il rischio concreto è che oltre 40.000 ragazzi perdano un anno della loro vita, a causa di una riforma presentata come rivoluzionaria e democratica, ma che nei fatti crea instabilità. A chi serve una selezione ritardata che aumenta la frustrazione e scarica sulle università la gestione del caos?
Il problema dell’accesso a Medicina esiste, lo sappiamo bene. C’è carenza di medici e servono investimenti, sia sulle borse di specializzazione sia sull’ampliamento programmato delle iscrizioni. Ma non si risolve cancellando l’esistente senza aver costruito un’alternativa chiara. L’idea di affidare la selezione ai voti universitari, poi, introduce nuove disparità: differenze tra docenti, tra atenei, tra valutazioni soggettive, con il rischio di rendere ancora più opaco un percorso che dovrebbe essere invece limpido e meritocratico.
Come Ordine, lo diciamo con fermezza: serve una riforma vera, partecipata, condivisa con chi conosce i bisogni della sanità italiana. Non una misura d’urgenza, costruita in fretta, che scontenta tutti e rischia di compromettere la qualità della formazione medica nel nostro Paese. Medicina merita serietà. E i nostri ragazzi meritano chiarezza, non illusioni.