Elisabetta Alti, Direttore Dipartimento Medicina Generale e Vicepresidente Ordine dei Medici
Dalla seconda metà del XX secolo la scoperta degli antibiotici ha rivoluzionato l’impatto delle malattie infettive attraverso il controllo e la prevenzione di patologie fino ad allora ritenute gravi, se non addirittura mortali. Malattie come la tubercolosi, le polmoniti, le infezioni da ferite chirurgiche hanno perso la connotazione di letalità che nella popolazione avevano avuto per secoli e, anche grazie agli antibiotici, abbiamo assistito ad un generale miglioramento dell’aspettativa e qualità di vita. Ma, negli ultimi decenni, un fenomeno chiamato antibiotico resistenza, la capacità di modificare il proprio corredo genetico per poter sopravvivere e resistere a specifiche molecole, è diventato una grave minaccia per la salute, rendendo inefficaci molte terapie antibiotiche. Batteri precedentemente sensibili a un particolare antibiotico hanno sviluppato una specifica resistenza verso quella o più molecole ed essendo capaci di trasmetterla, verticalmente e orizzontalmente, ad altri ceppi o specie hanno determinato un’amplificazione del fenomeno a tutti i livelli, ospedaliero e territoriale, umano, veterinario e ambientale. L‘enorme pressione selettiva sui microrganismi esercitata da un uso eccessivo, e spesso improprio, degli antibiotici in ambito umano, veterinario e zootecnico, ha determinato la cosiddetta “pandemia silente”, con la comparsa di veri e propri “superbatteri” multi o pan-resistenti, capaci di dare infezioni molto gravi e per le quali le opzioni terapeutiche si riducono drasticamente, con costi sanitari ed economici molto elevati. Si stima che, ogni anno in Europa, un terzo di tutte le infezioni siano dovute a batteri resistenti agli antibiotici e che, per queste, oltre 35.000 persone muoiano come conseguenza diretta. L’impatto sanitario che ne deriva è paragonabile a quello dell’influenza, della tubercolosi e dell’Hiv/Aids combinati. A complicare il quadro già allarmante, stiamo assistendo ad una diffusione dell’antibiotico resistenza nell’ambiente attraverso il suolo, l’acqua, le piante, gli animali selvatici e gli insetti. Anche l’inquinamento, negli agglomerati di plastica, così come le inondazioni o l’aumento della temperatura globale, sono risultati determinanti per la diffusione di microrganismi resistenti. Per questo, la resistenza antimicrobica è una questione “One Health” che interessa la salute umana, animale, delle piante e dell’ambiente, e che non può essere affrontata da un singolo settore sanitario o industriale o da singoli paesi. E proprio l’approccio “One Health” è indicato come uno degli obiettivi prioritari per la lotta all’antibiotico resistenza nel recente Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico-resistenza 2022-2025, che, insieme alla sorveglianza dei microrganismi resistenti, alla prevenzione delle Ica (infezioni correlate all’assistenza) e all’uso appropriato degli antibiotici non solo a livello umano ma anche veterinario, individua come strategica per la lotta all’antibiotico-resistenza la formazione degli operatori sanitari e l’informazione dei cittadini sull’uso prudenziale degli antibiotici. Solo una partecipazione attiva a tutti i livelli, renderà possibile quel cambiamento culturale necessario per invertire il fenomeno dell’antibiotico resistenza.