“L’introduzione delle bodycam per medici e personale sanitario decisa dalla Regione Veneto rappresenta una sconfitta per tutti. È il frutto amaro di una frattura profonda tra chi cura e chi viene curato, un processo di delegittimazione che parte da lontano e che ha intaccato il valore sociale dei saperi specialistici, colpendo alla fine tutti. Anche chi si fa portavoce, inconsapevole o meno, di questo atteggiamento, perché minare la fiducia tra medico e paziente significa in fondo rinunciare ad essere curato”.
A dirlo è Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Firenze, commentando la dotazione di videocamere il personale sanitario della Regione Veneto.
“Non possiamo permettere che episodi di violenza fisica e verbale passino inosservati o siano ormai considerati ‘normali’ – dice Dattolo – continuando come se non fosse successo nulla. È sufficiente guardare ai numeri delle aggressioni per capire che non è così: qualcosa si è rotto, purtroppo”.
“Quello che accade negli ospedali italiani – prosegue Dattolo – non è il risultato di un episodio isolato, ma di un clima che ha reso accettabile, e talvolta perfino giustificabile, l’attacco a chi lavora ogni giorno per la salute degli altri. In questo senso la bodycam è uno strumento di tutela. Ma rappresenta anche il segno di una sfiducia reciproca che ci deve far riflettere: se c’è bisogno di registrare ogni parola, ogni gesto, allora la relazione medico-paziente è già gravemente compromessa”.
Il tema, per Dattolo, non si esaurisce con l’adozione di strumenti tecnologici: “Servono misure di sicurezza, ma serve anche la certezza della pena per chi aggredisce un sanitario. Non possiamo permettere che chi alza le mani o minaccia un medico – dice il presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze – venga subito rimesso in libertà, come se nulla fosse. È anche da questo che passa il rispetto per la professione”.
“È un bene intervenire con misure anche forti come la bodycam, ma non possiamo fermarci alla superficie – conclude Dattolo –. Il problema è culturale e sociale. Se siamo arrivati al punto di dover sorvegliare cosa avviene in una stanza d’ospedale, significa che come Paese dobbiamo ripensare alla centralità del rapporto di fiducia tra cittadini e professionisti. E farlo presto, perché la sicurezza non si garantisce solo con una telecamera: si garantisce restituendo autorevolezza a chi dedica la vita alla salute pubblica”.