Massimo Martelloni – Già membro della Commissione di Bioetica della Regione Toscana
Il tema della morte volontaria medicalmente assistita è stato oggetto, in Toscana di una recente legge – la 16/2025 – che ha recepito le indicazioni già fornite dalle sentenze della Corte Costituzionale (242/2019 e 135/2024) in materia. Nei giorni scorsi medici e giuristi hanno avuto modo di confrontarsi sulla questione, a Lucca, grazie ad un convegno organizzato dalla Fondazione Bml. All’appuntamento hanno preso parte Francesco Terrusi, presidente di sezione della Corte Suprema di Cassazione, Domenico Manzione, Procuratore della Repubblica di Lucca, e il sottoscritto (già membro della commissione di Bioetica della Regione Toscana e presidente nazionale emerito di Comlas, Società scientifica dei medici legali delle aziende sanitarie).
La parte iniziale dell’incontro ha avuto al centro il tema della autodeterminazione sul quale sono emersi gli aspetti storico-giuridici, costituzionali, bioetici e deontologici che hanno riguardato l’evoluzione del diritto alla salute non solo come diritto sociale, ma come diritto di libertà, fatto che ha determinato il passaggio dalla medicina paternalistica alla medicina condivisa tra medico e persona assistita.
Si è discusso poi sulle modalità organizzative mediante le quali attuare le indicazioni della Corte, la quale stabilisce che in presenza di requisiti come l’irreversibilità della patologia, la presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, la capacità del paziente di assumere decisioni libere e consapevoli, l’aiuto che il medico fornisce al paziente per interrompere la vita non rappresenta una causa di punibilità.
Le indicazioni della Corte Costituzionale hanno portato alla modifica, in data 6 febbraio 2020, dell’art. 17 del Codice deontologico dell’Ordine dei Medici, che prevede espressamente come il medico non debba favorire atti finalizzati a provocare la morte del paziente. Le sentenze hanno cambiato questa prospettiva e pertanto il Codice, ora, afferma che la valutazione debba essere rimessa alla scelta volontaria e libera del paziente capace di intendere e di volere e valutata , caso per caso, da parte del medico, non più punibile da un punto di vista disciplinare per aver dato un aiuto al morire.
In Toscana, siamo arrivati ad una Legge regionale la cui applicazione gode del presidio dei Comitati tecnici e del Comitato di Bioetica, destinato a salvaguardare i pazienti che, per la loro condizione, si trovano ad essere fragili.
Aiuta a comprendere meglio il quadro anche il riferimento alla Legge sul consenso informato ed il testamento biologico, la numero 219/2017: essa introduce giuridicamente il concetto della medicina condivisa, poiché l’informazione rende il soggetto pienamente consapevole e protagonista delle proprie scelte.
Tutti quelli citati sono, io ritengo, passaggi di civiltà che ci riportano ad una dimensione di umanità, e a quei principi di solidarietà e universalità che devono sempre informare la prestazione medica, come, espresso dalla Corte Costituzionale. Per questo motivo si rimane perplessi della decisione del Legislatore Nazionale di impugnare la legge toscana: essa non fa che stabilire modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte, senza entrare ex novo nella materia. Del resto, una normativa in questo ambito si era resa assolutamente necessaria per la presenza di casi – penso a quelli che si sono verificati all’USL Toscana Nord Ovest e all’USL Toscana Centro – che hanno messo in difficoltà le strutture, chiamate a decidere da sole, senza che fosse una legge a supporto, difficoltà rispetto alle quali le Aziende hanno risposto con una propria regolamentazione. Il legislatore regionale è stato, peraltro, molto prudente. Non si vede, quindi, come il Legislatore Nazionale possa impugnare una normativa che affronta soltanto una questione organizzativa.
Infine, una nota terminologica. Credo che oggi dovremmo smettere di parlare di ‘Suicidio assistito’, sostituendolo con “Aiuto a morire”. Le statistiche ci dicono quanto la questione sia pressante. Tra il 2006 e il 2020, in Italia, le morti dei pazienti per eventi avversi sono state oltre 8mila. Di queste, 967 sono state suicidi o tentativi di suicidio: stiamo parlando del 10,78% dei casi. La dignità di chi ritiene che la sua vita costituisca una non vita deve essere tutelata.