Intervista ad Andrea Vannucci, docente di Programmazione, Organizzazione e Gestione delle aziende sanitarie Dism dell’Università di Siena
Liste d’attesa: arriva il maxi piano taglia tempi. Stop ai fondi a pioggia alle Regioni: le risorse saranno assegnate direttamente agli ospedali con le code più lunghe. Che spenderanno in autonomia. Questo ha annunciato il ministro Schillaci, funzionerà?
In base al monitoraggio di ogni singolo ospedale affidato ad Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, il Ministero della salute, per voce del ministro Schillaci, è convinto che misureremo meglio la situazione reale. L’attuale fragilità dei flussi informativi provenienti dalle varie ragioni non si risolverà cambiando il punto d’arrivo delle informazioni. Se i meccanismi di raccolta non saranno solidi ed attendibili, come oggi non sono, il successo dell’operazione sarà improbabile. Il ministro Schillaci ci racconta di disporre di 600 milioni di euro. Afferma che questa è la ferma volontà del Governo, ma non sappiamo se ne abbia già parlato al ministro Giorgetti. Quindi, quando una singola azienda sanitaria o ospedaliera sarà in affanno, i fondi del Ministero andranno direttamente ad essa per accorciare le liste d’attesa pagando con quei soldi più straordinari al proprio personale e aumentando così la produzione di servizi. Ma sarà possibile, quando tutti ci ripetono che medici ed infermieri sono pochi e già è complicato assicurare i turni standard di lavoro? In alternativa, allora, si ricorrerà alla rete di strutture private accreditate. “L’abbattimento delle liste di attesa è una priorità del Governo al fine di affrontare un problema annoso della nostra sanità. Il privato convenzionato è certamente parte integrante del nostro Sistema sanitario” dice il ministro. Funzionerà? No. Forse alleggerirà la pressione per un breve periodo, ma non aspettiamoci di più. Primo perché se con i dati correnti di oggi si sa molto poco del fenomeno, ne consegue che non abbiamo un’idea di quante risorse servano e se saranno mai disponibili. Secondo, perché affidare questi servizi ai privati è stato fin adesso un oggettivo ostacolo a promuovere l’appropriatezza. Nessuno si offenda, ma è un dato di fatto. Se inseriamo una componente produttiva prestazionale, essa per natura vive incentivando la domanda e moltiplicando le risposte. Ed è esperienza in molti Paesi che la spesa pubblica, privata o gestita di tasca propria, sia destinata a salire.
Si dice che per affrontare il problema dei lunghi tempi di attesa per visite specialistiche ed esami diagnostici occorre assumere personale a tempo indeterminato, e non a gettone e potenziare i centri unici di prenotazione. E’ questa una soluzione?
La questione del personale sanitario è grave, complessa e destinata a durare. Per insipienza, ignavia e superficialità di tutte le parti, anche dei professionisti, assistiamo ad un deterioramento delle condizioni di lavoro che mina una storica affezione all’impiego nelle strutture pubbliche. Il danno è così avanzato che c’è scetticismo sulla possibilità che si trovi una soluzione. Invece la soluzione c’è, ma bisogna lavorare subito ad un’innovazione “partecipata”, senza la quale immettere nuove risorse sarebbe come buttarle nel secchio dell’immondizia. Sempre dalle parti del Ministero si pensa, per tagliare le lunghe attese, a lavorare anche all’unificazione delle agende delle prenotazioni degli ospedali pubblici e di quelli privati convenzionati: così i Cup potranno smistare le richieste dei cittadini là dove c’è posto. Ma ad oggi questa unificazione ancora non è a regime in molte parti d’Italia. Se ci fermiamo a quanto detto o scritto, le perplessità sono più d’una. E’ chiaro in cosa consista rispondere alla domanda di prestazioni diagnostiche ed ambulatoriali e a quelle per ricoveri programmati? E’ noto che approcci organizzativi, e conseguenti risorse, sono del tutto diversi? Parliamo, purtroppo, di due mondi lontani.
La sanità è ingolfata da anni di errata programmazione e da misure tampone senza una strategia, anche questo passaggio conferma questo approccio?
Mi pare di sì. Non vorrei che la risposta all’emergenza sia improvvisata, anche a causa del clima preelettorale. Perché non stiamo lavorando con determinazione e rapidità sulla riforma (che è scritta) dell’assistenza nei territori, dal momento che ci sono anche risorse del Pnrr (digitalizzazione, personale, strutture) utilizzabili? Il governo sta promuovendo una legge che dovrebbe estendere le autonomie regionali, ma forse non ci crede tanto se poi pensa di gestire centralmente i fondi Pnrr e fare altrettanto per la gestione delle liste d’attesa. Non ci sarà mica un po’ di confusione?
Stiamo andando verso una sanità divisa in due: chi ha soldi si può curare, chi non li ha rinuncia a curarsi?
Sta accadendo proprio questo. Il recente Rapporto della Corte dei Conti mostra che la crescita della spesa diretta delle famiglie, dal 2017 al 2022, è la più alta tra tutti i Paesi Europei. Siamo passati dagli 803,7 euro pro capite del 2017 ai 919,6 euro del 2022. La spesa diretta è uno degli indicatori che misurano la privatizzazione del sistema sanitario. C’è stata, però, anche la crescita della spesa privata gestita: i fondi sanitari e le mutue, ossia il cosiddetto secondo pilastro e le assicurazioni sanitarie, il terzo. Quanto alla spesa “privata” viene stimato che fondi e mutue hanno usufruito di un contributo, in termini di detassazione dei cittadini che ne hanno usufruito, pari a circa 400 milioni in dieci anni.
Partendo da un pregiudizio, la sanità pubblica è fatalmente insostenibile, viene messo in opera un programma di politica economica che si basa sul presupposto che la spesa pubblica, per sostenere il sistema sanitario e la salute dei cittadini, non può essere incrementata senza far danno allo sviluppo dell’economia. Purtroppo, il sospetto che un’operazione di questo tipo genererà sul medio periodo un costo e non un risparmio non sembra diffuso abbastanza.
Con l’introduzione del Jobs act, durante il governo Renzi, si è verificato un meccanismo “self-reinforcing”: non c’è bisogno di abrogare con nuove norme la sanità pubblica, saranno le leggi dell’economia a decidere attraverso i suoi strumenti fiscali in modo progressivo e automatico tutto quello che dovrà essere. In pratica, una tipologia nuova di sanità in luogo di quella universalistica. Ed è quello che sta accadendo.
Questo fenomeno ha origine ed è causa di un rinnovato egoismo: l’interesse di alcuni in competizione con il diritto di tutti. E’ cresciuto il numero di cittadini e famiglie che rinunciano alle cure per motivi economici. Questa, che ci sembra una disuguaglianza insopportabile, lascia indifferenti troppe persone, almeno fino al sopraggiungere di amari risvegli.