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28 Febbraio 2023

Perché non serve abolire il numero chiuso nelle facoltà di Medicina

Pietro Claudio Dattolo, Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Firenze

Le domande che sentiamo frequentemente (anche da eminenti esponenti politici) sono: “E’ giusto tenere fuori dalle Università i tanti giovani che vogliono fare i dottori visto che abbiamo davanti anni di penuria di personale? Perché non aboliamo il numero chiuso nelle facoltà di medicina?”

Cerchiamo di rispondere analizzando attentamente i numeri.

In Italia oggi abbiamo 4 medici ogni mille abitanti, contro la media Europea di 3,8. Negli Stati Uniti il rapporto scende a 2,5 medici ogni mille abitanti.

Gli accessi universitari a Medicina nel 2022 sono stati circa 15 mila. Vale a dire che nei prossimi 10 anni avremo laureato 150 mila medici. Quanti ne usciranno dal SSN? Sulla base dei dati Onaosi si stima che le uscite dal SSN riguarderanno qusi 50 mila medici ospedalieri, 20 mila medici di base, 10 mila specialisti ambulatoriali, 5 mila medici universitari e altrettanto per il privato puro. In totale circa 90 mila camici bianchi.

Quindi ricapitolando: in 10 anni avremo 150 mila nuovi dottori e ce ne serviranno 90 mila.

Questo significa che rimarrebbe un margine di oltre 60 mila medici per colmare le attuali carenze e le future possibili fughe dal pubblico.

A mancare non sono tanto i medici dunque, quanto gli specialisti a causa dell’esiguo numero di borse di specializzazione finanziate negli anni precedenti. Solo ora, con l’incremento di questi contratti si è riuscito a superare il cosiddetto imbuto formativo. Ma il frutto di tutto questo si vedrà solo nei prossimi cinque anni viste le tempistiche necessarie per la formazione di questi professionisti. Sempre che il fenomeno dell’abbandono dei corsi di specializzazione che si sta verificando non vanifichi gli sforzi ponendoci ulteriori problemi e considerazioni. Ma questa è un’altra storia.

Quindi abolire l’accesso programmato a medicina porterebbe ad una pletora di medici negli anni prossimi (creeremo decine di migliaia di nuovi disoccupati ogni anno impossibilitati ad accedere al SSN/R, ed avremo avuto uno spreco di risorse pubbliche).

E la qualità della formazione universitaria avrebbe inevitabilmente una caduta verso il basso. Infatti mancherebbero spazi e aule, e le corsie ospedaliere non potrebbero ospitare tanti studenti.

Adesso abbiamo bisogno di specialisti e non ne abbiamo a sufficienza. Come facciamo?

Dobbiamo accogliere gli specializzandi, vera forza propulsiva di un sistema vecchio e stanco, negli ospedali con un vero contratto, con diritti e doveri precisi e chiari, al fine di permettere loro una formazione adeguata e prospettive professionali reali. Questa è l’unica strada che abbiamo davanti.

E’ necessario un cambio immediato di passo e di paradigma per riconsegnare la sanità ai professionisti. Retribuzioni adeguate, depenalizzazione dell’atto medico, aumento delle assunzioni ed eliminazione del tetto di spesa al personale che agisce ancora oggi come una tagliola su regioni e aziende foraggiando il lavoro a cottimo.

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Perché non serve abolire il numero chiuso nelle facoltà di Medicina

28 Febbraio 2023

Pietro Claudio Dattolo, Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Firenze

Le domande che sentiamo frequentemente (anche da eminenti esponenti politici) sono: “E’ giusto tenere fuori dalle Università i tanti giovani che vogliono fare i dottori visto che abbiamo davanti anni di penuria di personale? Perché non aboliamo il numero chiuso nelle facoltà di medicina?”

Cerchiamo di rispondere analizzando attentamente i numeri.

In Italia oggi abbiamo 4 medici ogni mille abitanti, contro la media Europea di 3,8. Negli Stati Uniti il rapporto scende a 2,5 medici ogni mille abitanti.

Gli accessi universitari a Medicina nel 2022 sono stati circa 15 mila. Vale a dire che nei prossimi 10 anni avremo laureato 150 mila medici. Quanti ne usciranno dal SSN? Sulla base dei dati Onaosi si stima che le uscite dal SSN riguarderanno qusi 50 mila medici ospedalieri, 20 mila medici di base, 10 mila specialisti ambulatoriali, 5 mila medici universitari e altrettanto per il privato puro. In totale circa 90 mila camici bianchi.

Quindi ricapitolando: in 10 anni avremo 150 mila nuovi dottori e ce ne serviranno 90 mila.

Questo significa che rimarrebbe un margine di oltre 60 mila medici per colmare le attuali carenze e le future possibili fughe dal pubblico.

A mancare non sono tanto i medici dunque, quanto gli specialisti a causa dell’esiguo numero di borse di specializzazione finanziate negli anni precedenti. Solo ora, con l’incremento di questi contratti si è riuscito a superare il cosiddetto imbuto formativo. Ma il frutto di tutto questo si vedrà solo nei prossimi cinque anni viste le tempistiche necessarie per la formazione di questi professionisti. Sempre che il fenomeno dell’abbandono dei corsi di specializzazione che si sta verificando non vanifichi gli sforzi ponendoci ulteriori problemi e considerazioni. Ma questa è un’altra storia.

Quindi abolire l’accesso programmato a medicina porterebbe ad una pletora di medici negli anni prossimi (creeremo decine di migliaia di nuovi disoccupati ogni anno impossibilitati ad accedere al SSN/R, ed avremo avuto uno spreco di risorse pubbliche).

E la qualità della formazione universitaria avrebbe inevitabilmente una caduta verso il basso. Infatti mancherebbero spazi e aule, e le corsie ospedaliere non potrebbero ospitare tanti studenti.

Adesso abbiamo bisogno di specialisti e non ne abbiamo a sufficienza. Come facciamo?

Dobbiamo accogliere gli specializzandi, vera forza propulsiva di un sistema vecchio e stanco, negli ospedali con un vero contratto, con diritti e doveri precisi e chiari, al fine di permettere loro una formazione adeguata e prospettive professionali reali. Questa è l’unica strada che abbiamo davanti.

E’ necessario un cambio immediato di passo e di paradigma per riconsegnare la sanità ai professionisti. Retribuzioni adeguate, depenalizzazione dell’atto medico, aumento delle assunzioni ed eliminazione del tetto di spesa al personale che agisce ancora oggi come una tagliola su regioni e aziende foraggiando il lavoro a cottimo.

Di Redazione Toscana Medica

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Pietro Claudio Dattolo

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