Lucia Caligiani, Direttore SOSD Psiconcologia, USL Toscana Centro e Responsabile del Servizio A.L.B.A (Assistenza Lutto Bambini e Adolescenti)
Partendo dal presupposto che ognuno di noi sa che dovrà morire, la nostra mente non è in grado di pensarla consapevolmente. In effetti la nostra vita è un viaggio che prevede solo un biglietto di andata per un luogo sconosciuto e inesplorabile fino all’arrivo a destinazione.
Non possiamo sperimentare la nostra morte ma possiamo verificare il terremoto emotivo, esistenziale e affettivo, quando la perdita di una persona cara ci colpisce.
Il lutto è certamente una delle situazioni più stressanti a cui in individuo può andare incontro.
L’elaborazione del lutto avviene in maniera del tutto personale e dipende da vari fattori.
In particolare, dalla natura della risposta di attaccamento con le figure di accudimento e dal tipo di morte, a cui si aggiungono l’età di chi rimane e il legame con chi è morto.
“L’attaccamento non è tutto, ma l’attaccamento è in tutto” ripeteva spesso Bowlby.
Nei casi in cui ci sia stato un attaccamento sicuro si ha una maggiore probabilità che il lutto, dopo un periodo di profondo dolore dove il mondo appare depauperato di qualunque significato e dove l’assenza che ha lasciato colui che è morto è in realtà una dolorosa costante presenza, evolva verso “la vita”, anziché ripiegarsi nella “melanconia”.
A un certo punto di questo doloroso viaggio ci sarà la consapevolezza che l’altro ci ha irreparabilmente lasciati per sempre e non resterà altro da fare che separarcene riappropriandoci di quella parte di sé che la perdita dell’oggetto amato si era portata via con lo stesso.
Ci accorgiamo che il mondo esiste ancora, che la vita può essere vissuta non in funzione dell’oggetto morto, ma con quello che di reale e vitale l’esistenza ci offre ancora.
Nel caso di attaccamento insicuro sono spesso presenti angoscia, preoccupazione costante nei confronti del defunto, pensieri intrusivi con attivazione di alti livelli di ansia, forse nell’intento di controllare il mondo circostante.
Nel caso di un attaccamento di tipo evitante (disorganizzato) si può assistere a meccanismi di difesa primitivi quali la scissione e la negazione usate nel tentativo di evitare la sofferenza. In questo caso si può assistere alla comparsa di sintomi psicosomatici anche di una certa entità.
Ci sono però dei lutti di difficile superamento che possono necessitare di figure professionali specifiche, i cosiddetti lutti traumatici.
Il trauma è un evento difficile da simbolizzare e privo di significato. Chi resta si trova a fronteggiare tale situazione impreparato e senza avere strumenti adeguati per fronteggiarla
Nel trauma si riproduce l’esperienza del “crollo” di winnicottiana memoria, in quanto l’esperienza è improvvisa e inaspettata con conseguenze di adattamento psicologico a breve e lungo termine.
In questo caso l’evento è talmente intenso che vi è “una rottura dello scudo che protegge dagli stimoli” con conseguente instaurarsi di barriere difensive.
Tengo comunque a precisare che i lutti traumatici hanno una maggiore tendenza alla deriva psicopatologica ma non è detto che chi ha sperimentato un attaccamento disorganizzato debba inevitabilmente sviluppare una patologia in quanto possono intervenire fattori correttivi ambientali.
E’ stato però ipotizzato che i bambini con attaccamento disorganizzato siano più vulnerabili e suscettibili di disturbi dissociativi futuri presentando inoltre difficoltà nelle relazioni interpersonali, scarsa regolazione affettiva e ridotta mentalizzazione.
Se il lutto non si risolve in 6/12 mesi dalla perdita ma si prolunga con aspetti invalidanti per chi rimane possiamo cominciare a parlare di lutto patologico.
In un’osservazione con pazienti con disturbi dissociativi è stato rilevato che la madre aveva perso una figura di riferimento importante nei primi due anni di vita.
Si tratta di madri che non sono in grado di garantire al proprio bambino “conforto, protezione e rassicurazione specialmente quando esiste uno stato di sofferenza e infelicità”.
Un genitore che è stato traumatizzato spesso non riesce in una situazione di sofferenza e pericolo ad empatizzare col figlio spesso addirittura evitandolo tanto da non poterlo ritenere “una base sicura”
Nel lutto si assiste alla rottura del legame ed in particolare quando si tratta di un genitore tale amputazione è la valenza stessa del trauma.
Dunque, il genitore che si trova a fare i conti con un lutto patologico non sarà in grado di favorire una regolazione emotiva del bambino e le difese della mamma rispetto alle proprie esperienze traumatiche possono interferire con l’affettività del bambino
Come dunque dice Siegel “aiutare i genitori ad affrontare i traumi non risolti diventa cruciale non solo per loro ma per le generazioni future”.